Cultura e Società

“Céline, l’orrore della guerra e la bella letteratura” di D. D’Alessandro

15/06/23
"Céline, l’orrore della guerra e la bella letteratura" di D. D’Alessandro

Parole chiave: guerra, Celine, letteratura

Céline, l’orrore della guerra e la bella letteratura

di Davide D’Alessandro

Adelphi manda in libreria il resoconto romanzesco e inedito del grande scrittore francese ferito al fronte nel 1914. È un’occasione per meditare sul conflitto bellico, sul riso e il pianto, sulla vita e la morte.

Non è la guerra di Louis-Ferdinand Céline, ma la guerra che resta nella mente di Céline, dentro e addosso a Céline: “Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa”. E scriverne è arduo, come averla fatta e la ferita che ti lascia è la sutura di uno squarcio non suturabile. Ha vent’anni, il 27 ottobre 1914, quando viene ferito al braccio destro, alla testa e all’orecchio sinistro. Rimane a terra, pieno di sangue e con i morti intorno, come capita quando sei chiamato a sopravvivere. Un soldato britannico lo soccorre, ci parla in inglese e lo conduce in salvo.

Poi, vent’anni dopo, decide di raccontare l’evento, i giorni della degenza all’ospedale militare, la medaglia, l’arrivo dei genitori, i diversi personaggi che si addensano nei ricordi. Figure umane come Bébert, che gli sta vicino di letto, il vigliacchetto che, pur di sfuggire al combattimento, spara sul proprio piede ma finisce tradito dalla moglie prostituta e fucilato. E l’infermiera, L’Espinasse, che ha un’attenzione particolare e perversa per i cadaveri. E il sesso esposto, mai figurato: “Lo tiro fuori. Ma lei sta sempre appesa al collo del vecchio. Lei lo stringe e io la stringo. Si sistema comodo per farmelo mettere dentro. Gli riempie la faccia di lacrime. Gode come una fontana. Quello di sensazioni ne aveva di tutti i colori, non c’è che dire. Si teneva il naso. Lei gli frugava le mutande. Sbuffavamo tutti assieme”.

“Guerra”, edito da Adelphi, a cura di Pascal Fouché, con una premessa di François Gibault e la traduzione di Ottavio Fatica, è un romanzo inedito o, meglio, un resoconto romanzesco. C’è orrore per la guerra e per la morte, c’è il riso e il pianto che si mescolano, c’è la voce di Céline, il passo della sua scrittura inimitabile, la speranza di trovarsi testimone colpito, anche se non affondato, dell’ultima di tutte le guerre.

Così non è stato, così mai sarà. Le guerre continuano, sono perennemente sotto i nostri occhi, ma non c’è più Céline a trasmettercene la follia e l’orrore, la vita e la morte, la stupidità degli umani, l’immagine cruenta di una caduta: “Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l’orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure. Fra l’uno e l’altra un rumore immenso. In quel rumore ho dormito e poi è piovuto, pioggia di quella fitta fitta. Lì accanto Kersuzon era stecchito sotto l’acqua a peso morto. Ho allungato un braccio verso il corpo. Ho palpato. L’altro non ce la faceva più. Non lo sapevo dov’era l’altro braccio. Era schizzato in aria altissimo, vorticava nello spazio e poi ridiscendeva a trafiggermi la spalla, nella carne viva”.

Già, perché di carne viva si tratta quando si parla di guerra, la guerra che oggi ci entra dentro casa tra un talk e l’altro, tra una partita e l’altra, e non riusciamo più a distinguere dove si muore per davvero e dove si fa scena, dove l’atrocità incontra la farsa.

“In guerra si tratta di uccidere”, scrive Elias Canetti, in modo da sgombrare il campo da tante inopportune fantasie e scorciatoie. Poi, chi resta, in qualche modo racconta, talvolta modificando anche il quadro, ma i colori sono quelli della fine, senza sapere perché. Passa il tempo, ti rimane dentro il rumore, ci rifletti e tenti di scrivere ma, “per pensare, anche un minimo, mi ci dovevo mettere a spizzichi e bocconi come quando due si parlano al binario di una stazione quando passa un treno. Un pezzetto per volta di pensiero ben fatto, uno via l’altro. È un esercizio che stanca, vi assicuro. Adesso sono allenato. Vent’anni, uno impara. Ho l’anima più dura, come un bicipite. Non ci credo più alle scorciatoie. Ho imparato a fare musica, sonno, perdono e, come vedete, anche bella letteratura, con piccoli tocchi di orrore strappati al rumore che non finirà mai più. Lasciamo perdere”.

Aveva dormito nel rumore. A distanza di vent’anni quel rumore è ancora presente, come un ronzio, come un vizio assurdo. Verrà la guerra e avrà i tuoi occhi. Con la guerra non può che venire la morte e avere, cioè possedere, gli occhi di chi la fa, di chi è al fronte. Senza sapere perché. Perché non c’è mai un reale perché.

La guerra impressa nella mente di Céline, HuffPost 02 Giugno 2023 di Davide D’Alessandro

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