
Parole chiave: rinnovamento • ascolto • apertura • flessibilità • psicoanalisi
Introduzione a cura di Chiara Buoncristiani
In questa intervista su La Repubblica del 10 agosto 2025 Stefano Bolognini, AFT e past-president della SPI e dell’IPA, sottolinea la salute e la capacità di rinnovamento della psicoanalisi. Bolognini riflette sull’immagine ormai sorpassata dell’“ortodossia” ed evidenzia la forza della psicoanalisi contemporanea, pronta rinnovarsi con ascolto e apertura.
Un contributo attuale e incisivo sul valore delle pratiche analitiche.
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Il terapeuta e la polemica innescata dal libro su Freud della collega Maria Chiara Risoldi: “Quel
ritratto dell’ortodossia è retrodatato, non esiste proprio più. La vitalità di questa terapia è stata
quella di sapersi aggiornare”
BOLOGNA – Lo psicoanalista Stefano Bolognini è appena tornato dal congresso della International Psychoanalytical Association a Lisbona. All’ex collega Maria Chiara Risoldi — che in un’intervista su Repubblica ha dichiarato che la psicoanalisi «nel migliore dei casi non funziona nel peggiore fa danni» , replica: «Ci sono profonde differenze tra quello che pensa e scrive Risoldi e l’opinione della maggior parte di noi colleghi. Esiste la libertà di opinione, ovviamente, e sento il bisogno di non reagire troppo duramente contro un’ex collega, ma certe vignette semplicistiche sono inaccettabili. La mia preoccupazione maggiore è per i pazienti, che rischiano di sentirsi screditare qualcosa su cui
contano per essere aiutati». Dottor Bolognini, è finita? Contrordine compagni, dopo tutti questi anni passati sul lettino, c’eravamo sbagliati?
«Sono 125 anni, da quando Freud scrisse “L’interpretazione dei sogni”, che si dicono cose del genere. Se la psicoanalisi gode ancora di ottima salute è perché c’è molto di utile nel
nostro lavoro».
La psicoanalisi ortodossa, quella con lo psicanalista che sta zitto, per più sedute alla settimana, funziona
ancora? «Il ritratto dell’ortodossia che viene fatto da Risoldi è veramente molto retrodatato. La caricatura dell’analista che sta sempre zitto, crudelmente silenzioso, valeva per i primi tempi, forse. Adesso non esiste più. Al congresso di Lisbona ho visto duemila psicoanalisti da tutto il mondo, molti erano
giovani. La vitalità della psicoanalisi contemporanea si basa sul fatto che ha saputo cambiare, evolversi, anche lo scambio tra analista e paziente è oggi molto più ricco».
Quanti sono gli psicoanalisti iscritti alla Spi?
«In Italia più di mille, a Bologna una cinquantina».
L’analista ora parla liberamente?
«Interviene, certo. Anche se, mi si lasci dire, il silenzio analitico è qualcosa di molto prezioso perché è
estremamente raro in un mondo dove ogni interlocutore interviene sempre con consigli, esempi, raccomandazioni senza mai avere lo spazio interno per sentire fino in fondo come si sviluppa il pensiero dell’altro. Sono sempre tutti pronti a tamponare lo sfogo e la richiesta d’aiuto dell’altro, senza dargli il tempo di riflettere. Quel silenzio è uno spazio disponibile, non una frustrazione compiaciuta».
Traumi come un terremoto, la guerra o un lutto improvviso come si coniugano con la sindrome di
Edipo e la teoria delle pulsioni?
«Negli ultimi decenni la psicoanalisi si è sviluppata moltissimo. La teoria pulsionale iniziale è stata integrata con gli sviluppi riguardo al trauma e alle interazioni umane in maniera vastissima. Ignorarlo è come ridurre un albero ai suoi primi rami».
Freud non ha scoperto l’inconscio e ha copiato, dice Risoldi.
«Certo che ha usato anche gli studi di altri, ma è quello che avviene in tutte le scienze: quando qualcuno ha la capacità di sfruttare contributi interdisciplinari, citandoli, questo è un merito».
Quella tra analista e paziente è una relazione autoritaria?
«Inizialmente l’autoritarismo di Freud non era verso i pazienti ma semmai verso i colleghi che non condividevano le sue stesse idee. All’inizio, questo sì, Freud aveva posizioni molto dogmatiche, perché temeva che questo fragile oggetto teorico che era la psicoanalisi potesse essere in qualche
modo distorto o manomesso. Poi negli anni si rassicurò, anche vedendo che i contributi che arrivavano erano di grande qualità. I grandi continuatori dell’opera freudiana, che sono stati Melanie Klein, Donald Winnicott, Wilfred Bion, Heinz Kohut e molti altri, hanno enormemente arricchito la psicoanalisi in senso sia teorico che tecnico. È forviante oggi accettare il racconto macchiettistico di una relazione sadica in cui l’analista sta zitto e il paziente soggiace. Altra cosa è la regressione del paziente, che è un attaccamento all’analista che ripete quello tra figlio e genitore, necessario alla cura. Ma è come quando uno apre la bocca sul lettino del dentista. Accetta una posizione di asimmetria perché spera di essere aiutato a guarire».
Se un dentista sbaglia però è più facile accorgersene?
«Nella maggior parte dei casi le persone, se hanno pazienza, escono dalla psicoanalisi cresciute e in molti casi realmente cambiate e aiutate. Non c’è niente di magico in questo, è un paziente lavoro condiviso. Io quando ho sbagliato l’ho riconosciuto e ho cercato di cambiare strada. Un vero
analista non pretende di essere infallibile».
di Caterina Giusberti
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Videointervista a Stefano Bolognini 2 – modalità di relazione interpsichica e visione aperta della psicoanalisi
https://www.spiweb.it/multimedia/la-voce-degli-psicoanalisti/videointevista-a-stefano-bolognini-2/
“Parliamo di… Rischio con S. Bolognini” –
approfondimento tematico sul concetto di rischio nella pratica analitica
https://www.spiweb.it/la-ricerca/parliamo-di-rischio-con-s- bolognini/