Cultura e Società

La sessualità è in declino. S. Thanopulos intervistato da D. D’Alessandro Huffpost, 5/9/2023

7/09/23
La sensualità è in declino.  S. Thanopulos intervistato da D. D’Alessandro Huffpost, 5/9/2023

Parole chiave: Psicoanalisi, Sessualità, Identità fluida, Donna, Uomo

La sessualità è in declino. Preoccupa l’involuzione di pensiero su identità e differenze.

S.Thanopulos intervistato da D. D’Alessandro Huffpost, 5/09/2023

A colloquio con Sarantis Thanopulos, Presidente della SPI, a pochi giorni da una interessante Giornata di Studio che si terrà sabato 9 settembre 2023 a Milano

di Davide D’Alessandro

Sabato 9 settembre, a Milano, si terrà una Giornata di Studio su “Le differenze sessuali e di genere: esperienze in psicoanalisi e oltre”. Interverranno Tiziana Bastianini, Simonetta Bonfiglio, Luca Bruno, Leticia Glocer Fiorini, Paul Lynch, Mauro Manica, Paola Marion, Eva Reichelt, Frances Thomson-Salo, Sarantis Thanopulos. Proprio a quest’ultimo, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, rivolgo alcune domande su un tema che da tempo è al centro del dibattito nazionale, intellettuale, sociale e politico. Un tema che divide, accende gli animi, ma su cui è possibile ragionare e confrontarsi con intelligenza, se gli interlocutori sono professionisti competenti.

Presidente Thanopulos, che cosa la preoccupa di più del dibattito in corso?

Purtroppo, la questione delle differenze sessuali registra una forte regressione scientifica e culturale. La differenza sessuale messa largamente in ombra dalla differenza di “genere” rischia di essere neutralizzata. Assistiamo a un’involuzione del pensiero -di cui gli analisti, prima di chiunque altro, dovrebbero allarmarsi- che va di pari passo con la desessualizzazione delle relazioni umane. Più aumentano le definizioni delle identità di genere, più perdono il contatto con la sessualità e si configurano indipendentemente o contro di essa. Come se la sessualità fosse cosa trascurabile e facilmente sostituibile con vari surrogati.

Che cos’è la sessualità?

La sessualità, la forza che ci sposta dal nostro centro di gravità e ci spinge all’incontro con l’altro, occupa il centro dell’esperienza umana. È il motore di tutte le trasformazioni sensuali della nostra materia psicocorporea che rendono la nostra esistenza significativa. Come coinvolgimento intenso e profondo che impegna tutta la materia della soggettività, la sessualità è oggi in declino. Sempre di più cede il posto a dispositivi di eccitazione e scarica che imitano l’orgasmo e spostano le nostre sensazioni, le nostre emozioni e i nostri pensieri verso la superficie. Il declino interessa tutte le forme e declinazioni della sessualità, nessuna esclusa.

Compresa la frigidità?

Considerata erroneamente un problema femminile, la frigidità interessa, in realtà, in misura preponderante i maschi (una parte significativa della loro aggressività deriva da questo). È mascherata dall’eiaculazione. Oggi la frigidità vera e propria (da differenziare dal disagio femminile nei confronti dei modi sbrigativi, privi di cura dei maschi) si sta diffondendo molto anche tra le donne. La crisi della nostra civiltà è intrinsecamente legata alla repressione della sessualità femminile che, nascosta dal progresso sul piano dei diritti lavorativi, civili e politici, è oggi meno grossolana edd evidente, ma più sottile e profonda. Gli effetti della repressione si vedono nell’espansione dell’indifferenziato, dell’unisessuale. Le “identità fluide”, che non vanno confuse con la bisessualità, sono espressione di una crescente difficoltà ad abbandonarsi in profondità nella relazione erotica con l’altro. Derivano da una sfiducia radicale nella possibilità di esporsi nella propria incompletezza e vulnerabilità, alla ricerca dell’intesa e della complementarità con l’alterità che consentono il godimento sia nella forma dell’amplesso sessuale sia nella forma del piacere sensuale sublimato.

Come definirebbe la “fluidità”?

La “fluidità” non rappresenta un movimento interiore di libertà, ma un rifugio nell’autoreferenzialità, un sequestro nella propria struttura psicocorporea dell’oggetto desiderato. Un ritiro autoerotico dalle relazioni richiedenti un impegno erotico profondo con la vita. Il fantasma inconscio collettivo dell’androgino sta diventando, per uno “scacco” della rimozione, un modello di comportamento esibito, un paradigma identitario dotato della forza dell’“agito”.

E l’identità di genere?

Il concetto di “identità di genere” è stato usato per indicare il “sesso sociale”, cioè l’effetto del condizionamento culturale, religioso e politico sul modo di percepire, sviluppare ed esprimere la propria identità sessuale. Il “genere” corrisponderebbe alla conformazione dello sviluppo della propria identità secondo il sesso biologico di appartenenza ai dettami sociali che notoriamente reprimono la femminilità nell’uomo e nella donna e assegnano un potere improprio del primo sulla seconda.  Detto in altre parole, i due sessi sono biologicamente paritari, lo sono anche sul piano del desiderio (perché tra gli amanti la soddisfazione dell’uno è la condizione della soddisfazione dell’altro), ma non lo sono socialmente.

Il prezzo che le donne dovrebbero pagare per ottenere la “parità di genere”, il pari potere sociale, senza che sia intaccata la repressione della loro libertà sessuale che produce la disparità, è la rinuncia alla loro natura erotica. Il “genere” esprime la schiavitù femminile alle leggi del patriarcato (e la conseguente alienazione del maschio come soggetto desiderante). Una vera liberazione delle donne (e di tutti noi) si produce attraverso il superamento del “genere” e non con un suo consolidamento “progressista”. Il fatto che il “genere” abbia prevalso nel nostro linguaggio sul termine “sesso”, al punto che ai più sembri incomprensibile il suo vero significato, e gli analisti si stanno adattando, la dice lunga sulla pervasività dell’ideologia liberista nel nostro mondo, della sua capacità di convertire la critica nei suoi confronti in un consenso nei fatti.

Insiste spesso sul sesso psichico o psicocorporeo. Che intende?

La differenza dei sessi è radicata nella biologia e nell’anatomia (la cui costituzione riflette una funzionalità relazionale). Tuttavia, il “sesso” non assume una configurazione vera e propria nell’ambito umano se non all’interno dello sviluppo delle relazioni erotiche in cui l’eccitazione corporea si lega alla significazione affettiva e mentale dell’esperienza. Si dovrebbe quindi parlare non solo di sesso “biologico” o di “genere”, ma anche e soprattutto di sesso “psichico” o più precisamente “psicocorporeo”, la materia viva dell’identità sessuale che è l’oggetto diretto del condizionamento sociale.

L’esistenza della transessualità testimonia che l’accordo tra sesso psichico e biologico, la loro integrazione nel corpo erotico, pulsionale non può essere data per scontata. Per comprendere la transessualità -che è una dissociazione tra psiche e sesso biologico e niente affatto un “genere”- bisogna partire dal fatto che essa è normalmente presente in ognuno di noi. Il nostro corpo è sempre etero e omosessuale, femminile e maschile, la transizione è la cerniera che mantiene la sua costituzione unitaria nella pluralità delle sue inclinazioni. La definizione in un senso o in un altro non elimina la pluralità, ma per una pienezza della soddisfazione erotica è importante che l’identità sessuale non sia in disaccordo con il corpo biologico e con le sue fonti di eccitazione.

Che cosa accade nei soggetti transessuali?

Accade che la transizione si irrigidisce: tipicamente la loro eterosessualità si afferma in modo manicheo dissociandosi dall’omosessualità e la loro appartenenza sessuale tende a separarsi in modo netto dal sesso opposto nel loro mondo interno. Questo irrigidimento, come anche l’assenza di supporto biologico della loro identità sessuale, costituiscono un limite serio alla soddisfazione del loro desiderio erotico. Tuttavia, la costituzione bisessuale del corpo umano consente che questa soddisfazione non sia impossibile: si può in parte sopperire all’assenza di un supporto biologico del proprio desiderio con l’attivazione di quella parte del corpo sessuale che a questo desiderio si accorda.

Ciò richiede l’elaborazione del lutto che ogni limite comporta, altrimenti la soddisfazione si affida all’onnipotenza e diventa sollievo autoerotico. L’elaborazione di una mancanza oggettiva implica anche un superamento dell’irrigidimento della transizione nel proprio mondo interno.

Diversa è la dissociazione psichica dal corpo biologico quando essa porta alla manipolazione chirurgica o ormonale di quest’ultimo. Qui non è più in gioco una percezione soggettiva di sé in contraddizione con la propria struttura corporea, ma l’esigenza di dare a questa percezione un substrato costruito artificialmente, di fondarla non sulla materia della propria intimità psichica, ma sull’esistenza di un sembiante. L’appiattimento della soggettività sull’esteriorità e sull’immagine, il prevalere della superficie sulla profondità, è una grande questione della nostra epoca di fronte alla quale il pensiero critico non può volgere altrove lo sguardo.

Qual è il suo pensiero sulla mutilazione genitale?                                                                                      

La mutilazione dei propri genitali, che crea un grave danno oggettivo alla possibilità di godimento a cui nessuna trasposizione di tessuti eccitabili può porre rimedio, può essere in alcuni casi, come la mutilazione di un proprio orecchio, una manifestazione lacerante, sanguinante della propria soggettività. In nessun caso può essere considerata come paradigma di costruzione di un’esistenza soggettiva felice. Le stesse persone che denunciano le fake news (una costruzione della realtà secondo un proprio modo soggettivo di concepirla) diventano sostenitori dei fake bodies.

Donald Winnicott ci ha insegnato che quando la psiche (il nostro modo di dare senso alla nostra esistenza e al mondo con le emozioni, i pensieri e i desideri) si dissocia dal corpo (le sensazioni senza le quali nessuna esperienza è piacevole e significativa che si tratti di far l’amore, di passeggiare lungo il mare o di sentire un’opera di Mahler) si fa sedurre dalla mente, dalle costruzioni mentali. Il pensiero critico non può per definizione diventare canone di vita per le persone che devono liberamente decidere di sé stessi. Ci può però aiutare a non eliminare le contraddizioni, a non creare buchi di significazione del comune vivere, colmate da esistenze fittizie.

Costruire ad arte un corpo corrispondente all’immagine che si vorrebbe di sé, per esigenze personali, non è peccato e men che mai un crimine. Fare di ciò una “categoria dello spirito” non è cosa buona.

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