Cultura e Società

“Un’estate” di C. Keegan. Recensione di D. Federici

19/09/24
"Un'estate"

Parole chiave: #famiglia, #affidamento, #genitorialità, #paternità

UN’ESTATE

di Claire Keegan (Einaudi, 2023)

Recensione di Daniela Federici

A me è capitato di esserti accanto

e davvero non vedo in questo

nulla di ordinario

Szymboska

La sapienza della Keegan sta nel rendere intense e speciali le cose più semplici e comuni. Come se di ciò che ha un’enorme portata riuscisse ad attenuare la complessità, facendone risplendere la sostanza più profonda, sapendo andare al cuore di ciò che, nel bene o nel male, arriviamo a considerare ovvio, senza riuscire più a vederlo come qualcosa che potrebbe avere un’altra forma. E in quell’estratto, attraverso accadimenti minuscoli, sa mostrare la potenza delle possibilità di trasformazione.

In Piccole cose da nulla (Einaudi, 2022) ha raccontato un’ignominia della storia d’Irlanda, le Magdalene Laudries, conventi che in combutta con lo Stato, dal settecento agli anni ’90, hanno tenuto segregate giovani orfane e ragazze ‘immorali’ schiavizzandole e dando in adozione i loro bambini a famiglie benestanti. In 90 pagine ha fatto fiorire un delicato e toccante racconto di natale affidando al suo protagonista di mettere in evidenza questioni inerenti Chiesa, politica, etica e  dignità umana attraverso la scelta di un ‘uomo comune’ di non voltarsi dall’altra parte.

In Un’estate il respiro di questo stile di understatement è ancora più cristallino.

Con una prosa limpida e levigata all’essenziale, la Keegan da vita a un’altra perla, che con grazia poetica ci parla dell’amore necessario e di cosa significhi essere una famiglia al di là del sangue.

Foster infatti, il titolo originale di questo romanzo breve, vuol dire sia adottare che allevare, incoraggiare.

La piccola protagonista non ha un nome, come potesse rappresentare tutti i bambini del mondo.

Lo ha ricevuto nella trasposizione cinematografica del libro: The quiet girl, di Colm Bairéad (2022), pellicola di altrettanta delicatezza.

Un contesto rurale, le sorelle più grandi, un fratellino e un altro in arrivo. La madre sfiancata di fatica; il padre, trascurante e bevitore, che al gioco perde pezzi di quel che occorre per tirare avanti. In casa si respira tensione.

La bimba li ascolta dirsi: “Quanto tempo dovrebbero tenerla?”

“Non possono tenerla tutto il tempo che vogliono?”

“Devo dirgli così?”

“Di’ quello che ti pare, tanto lo fai sempre.”

Così una mattina il padre la fa salire in auto e guida verso la costa, nella contea dove abitano i parenti della madre.

… mi sdraio sul sedile posteriore, a guardare fuori dal lunotto. In certi punti il cielo è sgombro, azzurro. In altri è come se qualcuno ci avesse disegnato le nuvole col gesso, ma perlopiù è un miscuglio furibondo di cielo e alberi tutto scarabocchiato dai cavi dell’alta tensione, dove sfrecciano, di tanto in tanto, piccoli stormi di uccelli bruni che un attimo dopo spariscono.

Sono i suoi pensieri la voce narrante. È una bimba piena di domande: come saranno i Kinsella? Ci saranno altri bambini? Mi faranno pulire i capannoni del bestiame e strappare le sterpaglie che infestano i campi?

L’ascoltiamo osservare con attenzione il padre e John Kinsella che si salutano.

Questo modo che hanno gli uomini di non parlare di niente: a loro piace sollevare una zolla da un prato col tacco di uno scarpone, dare una manata sul tettuccio di una macchina prima che parta, sputare, sedersi a gambe divaricate, come se non gli importasse niente.

Poi Mrs Kinsella apre la portiera e la invita a scendere.

Quando il suo sguardo si posa su quello che ho addosso, vedo attraverso i suoi occhi il mio vestito di cotone leggero, i sandali impolverati. Per un momento nessuna delle due sa cosa dire.

“Vieni dentro, piccola.”

… attraversiamo il tepore della cucina e lei mi dice di sedermi, di fare come se fossi a casa mia. Sotto il profumo di qualcosa che cuoce nel forno c’è una punta di disinfettante, candeggina forse. () dalla porta entra una corrente fresca ma qui è caldo, immobile, pulito.

Non sono abituata a star seduta immobile e non so dove mettere le mani. Una parte di me vuole che mio padre mi lasci qui mentre un’altra vuole che mi riporti a casa, alle cose che conosco.

Quando si siedono a tavola il padre ha modi bruschi: “Questa qua vi mangia anche la tovaglia! … ma potete farla lavorare.”

“Macché lavorare. Basta che dia una mano a Edna in casa.”

“Noi la teniamo volentieri.”

Il padre se ne va senza salutarla, senza dirle che tornerà a prenderla, dimenticando di lasciare la piccola valigia con il suo cambio.

Mrs Kinsella le fa il bagno, le mette una camicia e dei pantaloni un po’ più grandi della sua misura legandoglieli con una corda in vita. Le mormora “Hai solo bisogno di qualcuno che ti stia dietro…”

Le sue mani sono come quelle di mia mamma ma hanno anche qualcos’altro che non ho mai sentito prima e a cui non so dare un nome. Continuo a non trovare le parole ma questo è un posto nuovo, servono parole nuove.

Le parole sono il nostro modo di catalogare l’universo, di plasmare la realtà dal groviglio delle percezioni e darle forma nel pensiero. Gli sguardi silenziosi della piccola scansionano l’esperienza e la rendono ‘appropriata’, nel doppio significato di adeguata a essere compresa e al contempo fatta propria.

Per mia mamma, tutto è un lavoro: noi, fare il burro, cenare, lavare i piatti e alzarsi e prepararsi per la messa e per andare a scuola, svezzare i vitelli, e pagare gli uomini che vengano ad arare e a lavorare i campi, farsi bastare i soldi e mettere la sveglia. Ma in questa casa è diverso. Qui ci sono lo spazio e il tempo per pensare.

Che è una condizione tutt’altro che scontata.

Un bambino che non conosce la pace di vedersi riflesso nello sguardo dell’altro, di sentirsi esistere nella mente altrui, è abitato da un senso di precarietà che gli farà impiegare tutte le sue energie a cercare di adattarsi a ciò che ci si aspetta da lui, a scongiurare i malumori e tutto ciò che potrebbe fargli perdere una minima stabilità nell’ambiente da cui dipende.

Continuo ad aspettarmi che succeda qualcosa, che questa sensazione di benessere finisca: di svegliarmi nel letto bagnato, di fare qualche errore madornale, qualche grossa gaffe, di rompere qualcosa…

Sono magistrali gli indugi dell’Autrice su questi momenti di sospensione, quando la bimba teme varcata la soglia friabile di quel che la fa sentire al sicuro, la sorpresa che non giunga un rimprovero o la mortificazione, lo scombussolamento di dover rivedere i suoi riferimenti consueti per uno sguardo diverso sulle cose. È un apprendistato alla fiducia, alla possibilità di scoprire, di scegliere, un lento sfocarsi del pericolo che tutto crolli per un nonnulla.

… mi è sembrato di spiccare il volo, di essere libera di andare dove prima non sarei potuta andare, ed era facile.

Lungo quell’estate la piccola scopre i gesti di un diverso alfabeto affettivo, un affetto genitoriale che sa accogliere e ascoltare, chiedere e rispondere, dare coraggio all’immaginazione oltre le paure.

Kinsella mi prende per mano. Allora mi rendo conto che mio padre non l’ha mai fatto, nemmeno una volta, e una parte di me vorrebbe che Kinsella mi lasciasse andare, così non sarei costretta a provare niente di simile. (…) è una brutta sensazione, ma andando avanti comincio ad abituarmi alla differenza tra la mia vita a casa e quella che ho qui, e la accetto. … concludo che le persone possono essere molto diverse tra loro.

L’Autrice dipinge l’attimo in cui il sentirsi esistere sopravanza il vivere, racconta il consolidarsi dello spazio interno dov’è possibile rappresentare l’esperienza e gli affetti possono chiarirsi e rivelare di sé, dove l’altro diventa qualcuno da conoscere e non da cui guardarsi, da tenere con sé in quel prodigioso luogo della mente grazie al quale non sentirsi più soli.

È come se fossi diventata il messaggero di quello che sta succedendo dentro di me. Sono tante le cose che mi passano per la mente…

Sapienza, nelle sue origini latine sapiosàpere, conserva il legame con l’avere sapore, il saper gustare. Quel ‘minuscolo’ di cui la Keegan narra con sapiente poeticità, è al contempo l’essenziale, ciò che dà sapore alla vita e fa la differenza, che fa valere la pena di essere vissuto.

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