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Discussione relazione di Antonello Correale – Paolo Chiari

18/12/12

Discussione relazione di Antonello Correale: “Stato limite e disturbo borderline:  differenze e somiglianze. La difficile questione del nucleo psicotico”.  

24 novembre 2012                                          

Eccoci arrivati al disturbo borderline. Potremmo dire in modo molto sintetico che Correale ci è giunto attraverso il percorso di chiarificazione e distinzione fra stati limite, nucleo psicotico, psicosi, borderline in senso generale e quindi con  l’accurato confronto con la scuola psicoanalitica francese di Green, ma anche grazie alla sua capacità di cogliere, attraverso gli affetti, dei modi di sentire. Ci ha infatti indicato l’apatia per il disturbo narcisistico e la disforia per il disturbo borderline. Adesso ci conduce all’interno del disturbo attraverso la sua capacità di lasciar prima sedimentare dentro se stesso e poi rinarrare attraverso un pensiero che rielabora studi, esperienze, modelli da cui Correale si lascia contaminare, fecondare, per poi offrirci – in queste pagine che mettono ordine nell’universo borderline, ricche di fenomenologia, ricerche delle neuroscienze, infant research e teoria dell’attaccamento – un profondo e originale contributo psicoanalitico su come una persona borderline funzioni, viva e senta la vita, il mondo, i rapporti.   
Propone come punto di partenza il concetto di disforia. È un miscuglio, è un senso di inquietudine, di irrequietezza, allarme, leggera confusione, non identificazione precisa di un motivo che ci fa stare di cattivo umore e di un’attesa che succeda qualche cosa che modifichi questo stato sgradevole. Potremmo definire la disforia un allarme irrequieto non accompagnato da un’adeguata comprensione del perché ci sentiamo così. E’ dunque un’irrequietezza sgradevole, un’inquietudine a tinta negativa, un’attesa senza sapere cosa si attende, un desiderio che qualcuno compaia e ci dica o ci faccia qualcosa per cui questo stato passi. Si accompagna a questo stato un’intensa reattività, che si manifesta anche di fronte a frustrazioni apparentemente modeste, un atteggiamento di sfida verso i rapporti, impregnato dal desiderio espresso con intensa vitalità, un inviare un messaggio di indomabilità e non accettazione delle regole sociali. Alla  base compaiono dei sentimenti che potremmo definire così: non mi posso veramente fidare di nessuno, cioè non mi aspetto che qualcuno possa veramente alleviare questo mio stato, però ho un bisogno spaventoso che qualcuno lo faccia. La sequenza che si osserva è di solito questa: rottura di un rapporto significativo, disforia – scontentezza, irrequietezza, allarme -senso di vuoto insopportabile. Nasce un bisogno di riempire questo vuoto: può accadere con un rapporto nuovo e idealizzato, oppure con qualcosa che ha solo il fine di dare piacere, come il sesso, la droga, l’alcol; oppure, ancora, con atti sconsiderati che restituiscano un senso di vitalità e di piacere al posto della desertificazione.
Se questi sono i fatti come si possono spiegare? A seguito degli studi sui reduci dalla guerra in Vietnam, molti studi sul trauma sono stati compiuti negli ultimi trent’anni, così come lo furono dopo la prima e la seconda guerra mondiale. Il nome che riassume questo disturbo è disturbo post-traumatico da stress. C’è una straordinaria e sorprendente analogia fra gli effetti del trauma da stress e il comportamento borderline. In entrambi i casi appaiono disturbate le aree di regolazione degli affetti e del controllo degli impulsi, delle relazioni interpersonali, dell’identità e transitoriamente dell’esame di realtà. Il trauma fa saltare la funzione riflessiva della mente. Quando Correale parla di trauma specifica : “Credo che il termine trauma vada riservato a quelle esperienze in cui il soggetto vive la possibilità di una sua morte, psichica e fisica: non c’è trauma se non c’è esperienza di morte “. Non ci riferiamo qui a contenuti mentali della scena traumatica modellati dalle fantasie inconsce, ma all’idea che il trauma attivi un’emozionalità indiscriminata al posto di un’emozionalità legata a una rappresentazione. Correale lo chiama trauma che crea eccitamento e ricorda le scoperte di Ferenczi sull’effetto della sessualità adulta su quella infantile.
Il trauma può  determinare un eccesso di emozionalità che, proprio in quanto eccessiva e priva del carattere modulato dalla tenerezza, induce una paralisi delle funzioni rappresentative, quindi viene alterata anche la memoria. Correale  si rifà agli studi di Van der Kolk, per il quale nell’esperienza traumatica  si ha una iperattivazione della memoria implicita, cioè della memoria legata non a delle immagini di rappresentazione, ma soltanto alla ri-proposizione di un’azione o di sensazioni. Si ha inoltre un’atrofia della memoria episodica (non si ricorda una serie di episodi) ed un’ipertrofia della memoria semantica, con ripetizione di dichiarazioni generiche e universali a priori. 
Correale ci ricorda anche un secondo modo di concepire il trauma: come impotenza. Questo secondo aspetto ci richiama alla mancata adeguata azione di aiuto, mitigazione dall’esterno. Nella letteratura contemporanea questa accezione del trauma ha sempre più coinciso con un’area di esperienze caratterizzate dalla sensazione intima di perdita di connessione con le figure di riferimento e con l’impossibilità di sollecitare una risposta di aiuto da parte di queste. Correale lascia però sullo sfondo tutta la tematica dell’attaccamento disorganizzato con relativi modelli operativi interni e non si sofferma neppure sul punto di vista psico-neuro-biologico per il quale c’è un interruzione nel flusso delle comunicazioni fra i due emisferi cerebrali che impedisce l’integrazione delle due rispettive modalità di elaborazione dell’informazione fra l’emisfero destro emotivo sensoriale e il sinistro semantico linguistico. Ci invita invece a concentrarci su quanto il trauma interferisca nella formazione dei pensieri, dei legami affettivi, di relazioni significative, sulla trama dell’ intimità affettuosa che condurrebbe a introiezioni benigne a seguito di una fascinazione che attira il soggetto traumatizzato in un piacere che sarà pagato ad altissimo prezzo.
C’è dunque una modifica dello stato di coscienza.
Il trauma è ciò che ha sulla vita psichica l’effetto di dissociare la situazione emozionale dalla situazione cognitiva e di creare un vuoto momentaneo rappresentativo sostituito con un pieno emozionale. In altre parole, la vicenda traumatica avrebbe la capacità di disattivare le funzioni rappresentative della mente attivando esageratamente le funzioni emozionali. Cioè sarebbe come un allagamento che fa fuori le attività frontali superiori. È come se in quei momenti il nostro cervello dovesse completamente rinunciare ad alcune delle sue attività per concentrarsi soltanto su altre. La dissociazione non permette lo sviluppo, ma immobilizza. Si può dunque parlare di un’alterazione dello stato di coscienza nel senso che una parte della coscienza ha preso il sopravvento su tutte le altre e si assiste a una scissione verticale dell’io: la dissociazione appunto. Se vediamo la cosa in questo modo, innanzitutto possiamo dire che il trauma ha la capacità di impedire momentaneamente l’attività rappresentativa superiore. Inoltre, il trauma ha la capacità di creare una tendenza inarrestabile alla ripetizione dell’evento traumatico. La dissociazione  è quindi il primo effetto di una reazione traumatica. Il secondo è la coazione a ripetere.Ma perché ci affezioniamo a qualcosa che ci fa star male? Si chiedeva già Freud, quando si interessava ai traumi di guerra: «Ma come mai questi soldati, che hanno avuto un’esperienza negativa, una bomba che è esplosa, un compagno ucciso, una ferita grave al proprio corpo, delle cose che lasciano un terrore dentro, continuano a ripensare continuamente a questa cosa, cioè ritornano e ritornano e ritornano sull’evento traumatico come se non potessero liberarsene? C’è qualcosa di più, non è solo che non riescono a liberarsene, ma sembra che l’evento traumatico abbia una capacità attrattiva per il pensiero, cioè non se ne possono liberare ma ci ritornano, è come se desiderassero dolorosamente di ritornare continuamente su quella cosa». Forse per controllarla, dirà in un altro punto. Compare comunque il desiderio. Questo è un aspetto molto importante, perché in qualche modo questa attrazione dell’evento mortifero, che Correale chiama modalità traumatofilica, è qualcosa che richiede una spiegazione.Freud in qualche modo dà questa spiegazione: «L’evento traumatico disarticola, perfora lo scudo protettivo, la barriera protettiva dell’individuo»,  che si sente perforato e, come dire?, acceso dentro in modo straordinariamente potente, allagante, devastante. Quindi, c’è una perforazione dei confini e c’è anche una specie di esplosione interiore che dilaga con una potenza incontrollabile. C’è uno scoppio, un’esplosione di cui Correale è capace di raccogliere le schegge, i brandelli, i frammenti. Ci dice: attenzione, non c’è mai il vuoto, abbiamo sempre a che fare con qualcosa: schegge sensoriali, brandelli di esperienza, di ricordi, di sensazioni.Come queste presenze determino il copione della vita del paziente, attivando la ripetizione della stessa sequenza, è un dei compiti che si è dato Correale in anni di studio.  Non c’è ricordo di cosa sia successo ma solo una totalità emozionale correlata e corredata con frammenti sensoriali scissi, che possono essere esperienze allucinatorie o altre forme di disturbo, ma che comunque non sembrano in grado di collegarsi insieme in uno scenario ricostruito e comprensibile. Al paziente borderline manca una capacità di giudizio. Questi, come vedremo, saranno i compiti della terapia.
Vorrei adesso soffermarmi su un punto dello scritto di Correale. Se la prima parte verte sul processo di esteriorizzazione, adesso ci dobbiamo confrontare con il processo di interiorizzazione. Cosa è avvenuto nel paziente borderline che compie frequenti e continue inversioni fra vittima e persecutore? Come è avvenuta la sua identificazione con l’aggressore? Quale complesso rapporto lega il trauma all’identificazione? Correale ci dice che l’oggetto traumatico viene incorporato dal soggetto in un sol boccone. Queste identificazioni per incorporazione non sono mai sentite come del tutto appartenenti al soggetto, ma restano sempre in qualche modo estranee: da un lato sono troppo dentro e lo dominano, ma dall’altro sono troppo fuori, perché non si sono verificate attraverso un gioco di presenza e assenza, che le avrebbe rese familiari, ma in modo brusco e violento. Siamo in presenza di un fenomeno primario, necessario, a cui non si può sottrarsi. L’identificazione traumatica per incorporazione, continua Correale, dà origine a una rappresentazione dell’oggetto traumatizzante che può essere ben definito come il fantasma. Ci troviamo così di fronte al problema dell’indeterminatezza della collocazione, ma anche a come la diversa localizzazione tra interno e esterno dell’Io o del Sè dell’incorporato favorirà o meno certi tipi di interventi terapeutici.
La scelta del fantasma inizialmente mi ha sorpreso. E’ parola estranea al linguaggio con cui in questi anni sono stato solito confrontarmi. Ho dovuto fermarmi e pensare a lungo per coglierne il senso. Credo, e chiedo conferma, che Correale con questo termine desiderasse dirci che con l’incorporazione ci troviamo in presenza di un processo di funzionamento primario inconscio, in quanto non è ancora un introietto che si posizionerebbe all’interno del Sè-come-luogo, per cui l’oggetto non è né dentro né fuori. Il soggetto non si pone il problema né dei confini né della collocazione, potremmo solo dire che l’oggetto traumatizzante c’è e che è là: così come un fantasma compare e scompare nel castello con la massima libertà. Inoltre, l’oggetto incorporato può essere simultaneamente in più di un luogo, dentro e fuori. Ricordo e anticipazione coincidono. Siamo fuori dal  tempo. Esiste, senza un dove. Se ho compreso bene, siamo tornati nel cuore della psicoanalisi e del lavoro dello psicoanalista.
In attesa che le ricerche delle neuroscienze, degli studi sullo sviluppo umano progrediscano, ci troviamo di fronte alla sofferenza del paziente, al suo tentativo di cambiare, trasformare il cieco destino. Siamo così costretti ad essere come acchiappa fantasmi per farli finalmente esistere all’interno di una trama narrativa. C’è in Correale un aspetto che mi piace molto e che me lo fa sentire vicino: l’ottimismo terapeutico. Per Correale ciò che il trauma ha sottratto alla potenzialità dello sviluppo può essere recuperato, compensato, corretto attraverso la nuova esperienza umana offerta dalla terapia.
Le strategie e le articolazioni elaborate in anni di lavoro istituzionale, necessarie per la terapia dei pazienti borderline sono racchiuse in modo ampio e dettagliato in alcuni suoi lavori già pubblicati.  Riassumo brevemente alcune indicazioni  presenti in questo scritto.
Quello che può essere considerato il risultato finale di un’analisi – cioè una certa liberazione dalle identificazioni, per ritrovare un rapporto col desiderio più fluido e orientativo verso il mondo – qui si pone invece all’inizio dell’analisi. È necessario proporre prima delle identificazioni strutturanti e solo dopo tentarne un superamento. Necessario che il terapeuta mantenga la sua presenza, cioè sopravviva al transfert tempestoso, dia continuità e sia tenace, cioè ci creda ma allo stesso tempo ponga le sue ipotesi in forma dubitativa, le ponga né dentro né fuori, le metta là, per aiutare il paziente a farsi un’idea, a saper giudicare, ma sempre con il compito di connettere, collegare perché le schegge devono ricomporsi, secondo un lavoro che è più quello del puzzle che quello della scoperta di ciò che è nascosto. Al posto di interpretazioni di transfert, il terapeuta diviene trasparente mostrando il funzionamento della sua mente: racconta quello che osserva senza invaderlo, caso mai fa interpretazioni su se stesso invece che sul paziente. Emerge piano piano il copione, il fantasma si ripresenta ed è qui che l’arte del terapeuta sarà capace di dar senso facendo emergere il trauma antico che si riattiva e viene riprodotto da quello presente. L’arte di un terapeuta attivo, ricostruttivo, capace di valorizzare i bisogni etici e di giustizia presenti nei pazienti borderline.

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