La SPI

L’incidente di Palermo – premessa

26/03/10

 

Si tratta di un articolo pubblicato
dall’autrice – la nostra collega palermitana Malde Vigneri – nella rivista Sicilia, (Quadrimestrale
n.2 (91), febbraio/maggio 2001, Flaccovio Editore, Palermo), che riguarda il
viaggio di Freud con Ferenczi del settembre del 1910 e che i biografi di Freud
ricordano appunto come "L’incidente di Palermo". Su quest’episodio Malde
Vigneri ha rielaborato anche una ricostruzione storica in forma di piece
teatrale, rigorosamente basata sui documenti e i carteggi di Freud, che troverete
di seguito e che, se volete, potrete mettere in scena!

Freud fu in Sicilia nel settembre del
1910.

Il viaggio, organizzato in ogni
particolare con l’amico e collega Ferenczi, ricevette i migliori auspici.

Per quanto Freud non amasse per nulla
che si ricorresse a lui durante le vacanze, non seppe sottrarsi in quei primi
mesi d’estate, alla richiesta di aiuto di un uomo famoso come Gustav Mahler.

Tuttavia l’incertezza del compositore,
in preda ad uno dei suoi altalenanti periodi di folie de doute, fece sì che la
data dell’appuntamento, accettata e poi ritratta e poi di nuovo reclamata,
slittasse fino agli ultimi giorni di agosto finendo col coincidere con la data
di partenza. Freud incontrò Mahler a Leida dove il giorno successivo si sarebbe
riunito a Ferenczi, suo compagno di viaggio. Il colloquio, in una lunga
passeggiata lungo le strade della cittadina, si risolse nel migliore dei modi:
un piccolo prodigio psicoanalitico che, recitano i biografi, "produsse il suo
effetto: il compositore recuperò la sua potenza e il suo matrimonio proseguì
felicemente."

Ottimo preludio, per un viaggio tanto
atteso.

Nell’epistolario che lo aveva
preceduto i due amici ne avevano pregustato ogni particolare. Ferenczi
"desiderava moltissimo di vagabondare" per la bella isola con il proprio
venerato Maestro, così come Freud assaporava l’idea di un "tranquillo soggiorno
in Sicilia" e di poter discutere di temi psicoanalitici "con un amico e
compagno di viaggio con il quale non vi è mai potuta essere ombra".

Eppure in quei giorni di settembre, la
Sicilia, terra di passioni, tese la sua trappola e di ombre ve ne furono, e
molte.

Il viaggio assunse toni intensi e per
certi aspetti imprevedibili. I due visitarono Siracusa, Castelvetrano e la
vicina Selinunte, ampiamente Palermo. Freud, che descrisse la Sicilia in una
lettera alla moglie come un’orgia inaudita di colori "che non bisognerebbe concedere
a sé soli", ne assaporò ogni esperienza, calandosi con la sua sottile ironia
nel folclore dei luoghi: "Per potere godere di tutto ciò.. – scrisse ancora
alla moglie il 15 settembre – non avrei dovuto essere psichiatra, o il presunto
fondatore di un nuovo indirizzo della psicologia, bensì l’industriale di
qualsiasi cosetta utile come la carta igienica, i fiammiferi, i bottoni per le
scarpe .."

Ma durante la visita a Palermo avvenne
che Ferenczi cominciasse ad apparire sempre più "inibito e imbronciato", con un
atteggiamento che Freud stesso descrisse di "timida ammirazione e muta
opposizione." Questo turbò non poco l’atmosfera del viaggio. Come spesso accade
in quest’isola dall’estenuante bellezza, i sentimenti persero via via le loro
compassate difese e il rapporto, fino ad allora custodito dall’interesse
intellettuale e da un adulto affetto reciproco, fu costretto a rivelare più
intime passioni.

Lungo i caldi giorni siciliani, le
emozioni di Ferenczi verso Freud, quella devozione e dedizione che nelle lettere
che precedono il viaggio ritroviamo in accenti delicati e sottomessi, ("..devo
pregarla di decidere tenendo conto esclusivamente delle Sue esigenze" "Per il
momento mi concedo il piacere di sperare che potrò rivederLa presto..")
sembrarono enfiarsi come frutti maturi mettendo alla luce una pressione
sottostante che rese il raffinato ungherese "assillante nel suo desiderio
confuso ed insaziabile di amore paterno e nella richiesta di intimità senza
limiti e di condivisione di ogni pensiero e di ogni confidenza".

Freud, solo apparentemente tollerante
e comprensivo, era intimamente sempre più spazientito.

Avrebbe desiderato piuttosto di essere
sollevato dalle piccole angustie organizzative, per godere di "quei momenti, di
quei tanti luoghi nuovi, interessanti e belli da esplorare."

Ovviamente, nulla di tutto questo fu
apertamente espresso anche se lasciò tracce indelebili nella vita dei due.

Proprio a Palermo Freud diede inizio
alla stesura di un suo capolavoro, l’interpretazione psicoanalitica di una
vicenda che recentemente aveva fatto scalpore: il crollo psichico di un famoso
giudice, ex presidente di Corte d’appello a Dresda. Nelle pagine sul "Caso
Schreber", Freud dà ampia risonanza all’intensità dell’ambivalenza delle
passioni filiali.

Passioni dalla natura simile a quelle
emerse prepotentemente tra i due, durante il viaggio.

Ferenczi, dal canto suo, non dimenticò
mai i giorni siciliani e l’evento che fu poi ricordato dai biografi come
"l’incidente di Palermo."

Cosa accadde, infine?

Ne possiamo trovare traccia nelle
lettere che i due protagonisti si scambiarono al ritorno dal viaggio.

Deferente come sempre, Ferenczi il 28
settembre scrive da Budapest: "Caro professore, seguendo il Suo saggio
consiglio mi godo ancora il dolce far niente .. Mi concedo il piacere di
passeggiare …

Faccio piccoli e grandi acquisti,
discuto dandomi una certa importanza sulla cornice più appropriata per le foto
della Sicilia. Eppure.."

Trapela tra le righe un sottile
imbarazzo, il riferimento a qualcosa di cui forse scusarsi.

"I bei giorni trascorsi in Sua
compagnia, gli stimoli che ho ricevuto influiranno positivamente sulla mia
attività, spero .. Mi dispiace tuttavia che lei abbia avuto in me un compagno
che ha ancora tanto bisogno di essere plasmato.

La mia speranza è che lei vorrà
perdonare quest’incorreggibile che tanto spesso veniva meno ai suoi propositi".

"Avremo l’occasione – si ripromette
ancora Ferenczi – di ritornare di tanto in tanto sui particolari degli eventi
della nostra convivenza e sul modo in cui ho reagito ad essi."

Mirabile e rassicurante la risposta di
Freud, del 2 ottobre.

"Caro amico, la Sua lettera mi ha
rammentato che io sono la stessa persona che a Siracusa coglieva papiri, che si
accapigliava con il personale della ferrovia, che comprava antichità.

L’identità è stata ripristinata."

Si ha l’impressione che durante i
trascorsi siciliani, qualcosa abbia minacciato le certezze di un rapporto che
era stato fino ad allora di stima e di amicizia.

Come traspare da quanto segue: "Spesso
sono rima¬sto dispiaciuto, .. in molte circostanze avrei voluto che si
comportasse diversamente .. mentre Lei si aspettava di veleggiare in un
inesauribile fervore ..

Io detesto mettermi in posa e, per
puro spirito di contraddizione, spesso mi lascio andare."

Freud infine puntualizza: ".. io avrei
desiderato che Lei si liberasse dal Suo ruolo infantile, che mi si ponesse al
fianco come compagno a pari titolo, cosa che non è riuscito a fare, e inoltre,
sul piano pratico, assolvere con maggiore efficienza la Sua fetta di compito, ..
invece Lei era trasognato, inibito."

Nelle lettere che seguono tutto si fa
più chiaro e, con un rigore che tuttavia non cela il misurarsi di due anime
ancora turbate, ognuno ha modo di precisare la propria verità.

Il 3 ottobre, inizialmente ancora con
una certa deferenza, Ferenczi scrive: "Caro professore, ho atteso la Sua
lettera con non poca tensione, anzi con "angoscia".. Cercavo nella fantasia di
prepararmi a tutte le eventualità e persino a quella che Lei, a causa delle
delusioni che Le ho procurato decidesse che non valeva più la pena di occuparsi
di me .."

Ma dopo le prime righe il tono cambia
in un linguaggio deciso e rigoroso. Facendo ricorso al proprio spessore
introspettivo ed interpretativo, Ferenczi chiarisce le proprie posizioni
cominciando a ricusare il ruolo che gli era stato assegnato.

"Ho analizzato il mio modo di agire e
ho individuato la causa delle inibizioni .. in questo contesto ho fatto luce
senza pietà anche sulle possibili componenti pulsionali omosessuali del mio
atteggiamento infantile. Credo di averne tratto grande beneficio personale e
anche qualche insegnamento scientifico." Ferenczi fa riferimento a tematiche di
interesse scientifico: le istanze omosessuali latenti, delle cui vicissitudini
i due andavano discutendo da tempo e che costituiranno tra l’altro un punto
fondamentale nella trattazione del "Caso Schreber."

"Fino ad ora dunque, siamo entrambi
d’accordo." Continua Ferenczi, apprestandosi a ribattere: "In alcu¬ni punti
essenziali devo però contraddirLa e richiamandomi alla sincerità psicoanalitica
far luce sui dati di fatto. Non è vero che io abbia cercato in Lei sempre e
soltanto il grande studioso .. Quanto Lei si occupava di questioni scientifiche
(ed è stato tanto amabile da comunicarmi quanto andava elaborando) non potevo
certo fare a meno di essere stupito e felice .. Non mi è mai venuto in mente di
pretendere di più. Quel che mi ha inibito e reso taciturno, facendomi allo
stesso tempo apparire un po’ tonto, è la stessa cosa di cui Lei si lamenta. Io
desideravo stabilire con Lei un rapporto alla pari, personale, franco, allegro
.. e mi sono sentito, forse ingiustamente, ricacciato nel ruolo infantile."

Sia Ferenczi che Freud, ognuno nel
contestare gli addebiti dell’altro, tuttavia implicitamente confermano e
ripropongono proprio quello che era emerso lungo le calde ore siciliane.

Nelle lettere appare il desiderio di
ricomporre le difficoltà. Ma le parole assumono vieppiù una vibrante intensità.

"Credevo – scrive Ferenczi – che una
sincerità totale, limpida, anche se forse in apparenza un po’ crudele, ma in
definitiva proficua, fosse possibile nel rapporto fra due uomini dotati di una
mentalità psicoanalitica, che veramente vogliono comprendere tutto e che,
anziché formulare giudizi di valore, cercano le determinanti dei loro impulsi
psichici. Questo era l’ideale che perseguivo: volevo godere la presenza
dell’uomo e non quella dello scienziato, in un rapporto di confidenza, di
amicizia. Quel che ho dimenticato, accecato dal mio egocentrismo, è che Lei non
condivideva questi intenti: dopo un anno estenuante di lavoro non desiderava
altro che trascorrere settimane di meritatissimo riposo immerso nella bellezza
ed in buona compagnia, e perciò è stato spaventosamente sconsiderato da parte
mia rovinare le Sue ferie, con la richiesta di farmi educare da Lei. Durante il
viaggio ho recitato la parte ridicola e certo ripugnante dell’incompreso, un
po’ come l’asino siciliano, aspettando che Lei facesse il primo passo, per
poterLe dire tutto ciò .. Se Lei mi avesse sgridato a dovere, anziché chiudersi
in un silenzio eloquente!"

La risposta di Freud nel confermare
proprio quel gioco di ruoli che li aveva sconvolti durante il viaggio, tende
tuttavia a pacificare gli animi e restituire alla memoria il compito di
ridimensionare l’accaduto.

"Caro amico, .. Perché non Le ho dato
una lavata di capo, spianando così la strada a una reciproca spiegazione?
Verissimo, è stata una debolezza da parte mia, non ho potuto farlo, così come
non mi riesce di farlo con i miei ragazzi, perché voglio loro bene e mi
addolora rimproverarli.

.. Per quanto riguarda i dispiaceri
che mi ha procurato, e nei quali rientra una certa resistenza passiva,
succederà quel che in genere succede con i ricordi di viaggio: attraverso un
processo di autodepurazione, le piccole contrarietà scompaiono e restano
soltanto gli aspetti belli per il godimento intellettuale."

Con questo, l’episodio sembra potersi
concludere serenamente, se non fosse che le parole degli uomini rivelano tanto
quanto in realtà hanno da nascondere.

Quello che è ricordato come
"l’incidente di Palermo" non trova in tutte queste esplicitazioni e chiarimenti
altro che il suo prologo. Di esso, in realtà nessuno dei due fa parola.

E’ soltanto alla fine della lettera
del 6 ottobre che Freud, come per caso aggiunge "ma certo non Le ho ancora
scritto che ho rielaborato il caso Schreber, trovando conferma dei nostri
assunti fondamentali sulla paranoia e svariati spunti per fondate
interpretazioni."

Di certo, lungo le strade di Palermo i
due si saranno scambiati a lungo le proprie idee su quell’importante vicenda
clinica, quando i loro risvegliati dissapori personali non lo impedissero.

E corpo ed ombra, realtà ed inconscio,
si legano in un chiaroscuro nelle parole conclusive di Freud. "Che cosa pensa
se le dico che il vecchio dott. Schreber (il padre del giudice n.d.r.) .. si
scagliava "ruggendo" contro il figlio e lo capiva poco ..? Sarò ben felice di
accettare contributi all’interpretazione del caso Schreber. Cordialmente, suo
Freud."

Che cosa ne pensasse Ferenczi, restò a
quest’ultimo impresso nell’anima fino alla morte e di che cosa si trattasse lo
rivelò amaramente soltanto undici anni dopo, ma ad un altro uomo, un altro
amico e collega. Come ci appaiono diverse dagli impetuosi e adoranti accenti di
prima, le parole che Ferenczi scrive a Groddeck nel Natale del 1921: "Caro
amico, confesso che rivolgermi a Lei con questa formula mi è costato un certo
sforzo, e neanche dei più lievi. Da molto, moltissimo tempo mi mantengo in un
fiero riserbo e nascondo i miei sentimenti .."

E, dopo aver confidato a Groddeck un
bruciante episodio dell’infanzia in seguito al quale "invece di aiuto e
chiarimenti, ricevette un sermone moralista", Ferenczi infine ci svela il
segreto dell’incidente di Palermo, così come si era consumato in una calda sera
di fine estate, fra i velluti rossi e i tappeti di una camera d’albergo della
città, e del cui contenuto è possibile comprendere ogni intima implicazione.
"Finora" – confida Ferenczi a Groddeck – "non mi ero espresso così apertamente
con un uomo, neanche con Freud. Non ho mai potuto aprirmi con lui in tutta
libertà; aveva troppo di quel "rispetto pudico", era troppo grande per me,
assomigliava troppo ad un padre. Il risultato fu che a Palermo io avevo
esultato quando lui mi disse che voleva scrivere in collaborazione con me il
famoso saggio sul caso Schreber. Ma la prima sera di lavoro, quando iniziammo,
lui propose di dettarmi qualcosa. – "

Racconta Ferenczi, e se ne percepisce
tutto l’orgoglio ferito ed il suo dolore. "- In un improvviso eccesso di
ribellione io saltai su e ribattei spiegandogli che scrivere sotto dettatura
non era affatto un lavoro in collaborazione."

"L’amarezza mi stringeva la gola." –
aggiunge infine – "Io volevo essere amato da Freud."

La frase che segue resta scolpita. Per
quella intensità che ne oscura persino un po’ la chiarezza.

Per ciò che lascia intendere: l’avido
possesso, la difesa di sé, la segreta lotta nelle vicende tra padri e figli. E
forse anche, per quella vaga premonizione di ciò che il genio di Freud lascerà davanti
a sé. "Dunque lei è così?" – disse Freud meravigliato. "Lei vuole apertamente
appropriarsi di tutto?" Disse. E da quel momento lavorò tutte le sere, da solo.

 

                        L’incidente di Palermo: ricostruzione storica in forma di piece
teatrale

 

È la ricostruzione
storica in forma di piece teatrale dell’ "incidente di Palermo" fra Freud e Ferenczi.
Il racconto, fedelmente tratto dai carteggi, è stato tradotto in un dialogo fra
i protagonisti in cui le parole, trascritte in un "interlocutorio vivente", ben
mostrano l’intrecciarsi dei vissuti emotivi con continue riflessioni teoriche.
Le stesse riflessioni che ritroveremo nel lavoro sul "Caso Schreber" iniziato
da Freud proprio durante la permanenza a Palermo e ragione del contendere.

Nell’
estate  del  1910 Freud e Ferenczi furono in vacanza in
Sicilia. Durante il viaggio tra i due sorsero incomprensioni e dissapori che
culminarono in quello che verrà ricordato dagli storici della Psicoanalisi come
L’incidente di Palermo.

Dall’episodio,
solamente accennato nelle lettere che Freud e Ferenczi si scambiarono al
ritorno dal viaggio, sapremo soltanto da una lettera scritta da Ferenczi a
Groddeck, undici anni dopo.

La
rilettura dei documenti dell’epoca, degli epistolari e delle biografie, ha
consentito una fedele ricostruzione dell’accaduto, in tutti i particolari
dell’intreccio dell’intenso rapporto fra Freud e Ferenczi, della loro sofferta
amicizia e dei loro più intimi sentimenti, espressi sempre in un clima di
rispetto e con una delicatezza d’animo oggi dolorosamente desueti.

Il
racconto, fedelmente tratto dai carteggi, è stato tradotto in un dialogo fra i
protagonisti in cui le parole, trascritte in un "interlocutorio vivente", ben
mostrano l’intrecciarsi dei vissuti emotivi con continue riflessioni teoriche.
Le stesse riflessioni che ritroveremo nel lavoro sul "Caso Schreber" iniziato
da Freud proprio durante la permanenza a Palermo e ragione del contendere.

 

Rievochiamo
accenti e voci lontane con curiosità e con un soffuso sentimento di tenerezza.

 

 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"Così voglio sfuggire a me stesso" - I viaggi in Italia di S. Freud, di M. D'Angelo

Leggi tutto

I Maestri della Psicoanalisi in Italia

Leggi tutto