Cultura e Società

“Anima bella”di D. Albertini. Recensione di S. Maestro

23/05/22
"Anima bella"di D. Albertini. Recensione di S. Maestro

Autore: Sandra Maestro

Titolo: “Anima bella”

Dati sul film: regia di Dario Albertini, Italia, 2021, 95

Genere: drammatico

“Anima bella” è ambientato ai giorni d’oggi, in un piccolo centro della campagna laziale. La protagonista è Gioia, che vediamo festeggiare, nella scena iniziale, il suo diciottesimo compleanno, attorniata dal calore e dall’affetto dell’intera comunità. Nella prima parte del film la narrazione si sviluppa attorno alla quotidianità di Gioia, che vive insieme al padre vedovo, con cui condivide l’attività di pastorizia, portando le pecore al pascolo, occupandosi della vendita dei formaggi, curando le relazioni con gli abitanti del paese. Lo spettatore si trova proiettato nella sequenza dei micro-eventi della vita della protagonista,  in uno scenario in cui degrado, squallore e povertà creano una sorta di scissione tra ambiente sociale e ambiente non sociale e stemperano ogni possibile deriva verso l’idealizzazione. Le baracche semi-diroccate, la spazzatura, le costruzioni di cemento malandate, l’ovile dove viene ricoverato il gregge, fanno da sfondo a un clima di affettuosa intimità che circola nelle relazioni . Gioia è gentile, efficiente, empatica, un’”anima bella” appunto, ed è circondata da affetto, gentilezza e rispetto. La Madonna, che dovrà rappresentare insieme ad altre due ragazzine nella processione organizzata dalla Parrocchia del paese, assume il significato di una proiezione iconografica e identitaria del ruolo e dell’immagine che gli altri hanno di lei e della sua “anima bella”.

Nella scenografia le contraddizioni del tempo moderno richiamano un neorealismo vagamente felliniano: l”acqua miracolosa” che Gioia va a raccogliere per gli anziani disabili; la bambina corrucciata perché non può continuare a giocare nella squadra di  calcio, l’iphone smanettato dalla protagonista mentre porta le pecore al pascolo, vengono contenute, nel senso dell’holding winnicottiano, dallo spirito e dalla socialità che lega i membri della piccola comunità. Tutti si danno da fare per affrontare i problemi in un clima di solidarietà e cooperatività, i piccoli accadimenti della vita comunitaria rivelano la forza  dei legami sociali, che affiancano quelli emotivi  personali.

All’interno di questa cornice emerge il dramma privato, ovvero la scoperta della ludopatia del padre e gli sforzi di Gioia per farlo curare. L’evento rappresenta un punto di rottura, ma anche una chiave di volta nella vita della protagonista. L’attività di pastorizia viene liquidata e  Gioia riesce a convincere il padre a ricoverarsi in un centro di recupero alla periferia di Roma. Straziante lo “sgombero delle pecore”, delicato il momento in cui la protagonista porta i fiori al cimitero, uno dei due soli riferimenti espliciti nel film alla figura materna. E anche a Roma, grazie alla sua “anima bella”, Gioia sarà nuovamente in grado di ricostruire un micro-habitat di legami sociali e solidali per rimanere vicina al percorso di cura del padre. Nell’ultime scene tuttavia Gioia, provata da un evento improvviso e profondamente angosciante, riuscirà a “dare un taglio” alla reiterazione dell’inversione dei ruoli nella relazione con la figura paterna. La sedia vuota inquadrata dalla telecamera  evoca l venir meno e l’assenza che per Gioia assumono anche il significato del potersi sottrarre a un compito, a un mandato implicito familiare e sociale.

La bellissima pedalata finale raffigura lo sforzo egoico dell’individuazione e lo spettatore recupera in après-coup un nuovo significato della prima scena del film: per compiere diciotto anni bisogna avere la forza di separarsi dai legami familiari e dal gruppo originario. Il film tratta gli affetti con delicatezza, intimità e autenticità; idialoghi sono essenziali e ben armonizzati con la scenografia; magistrale è l’interpretazione della protagonista Madalina Di Fabio, come pure degli altri attori, quasi tutti poco conosciuti. Maggio 2022

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