Cultura e Società

Settimana 2 – Cristiano Lombardo

15/04/13

Cristiano Lombardo

Il punto di vista di Giovanni

Perché mentre gli altri episodi della settimana recano solo il nome del paziente, ad esempio “Sara” la paziente del lunedì, quello della supervisione del venerdì ne ha due? Non penso che sia un caso, anche solo per omogeneità sarebbe stato possibile intitolare la puntata semplicemente “Anna”, il nome di colei con cui il protagonista, il Dr. Mari, si trova per lavorare. Invece, come nella serie originale gli autori sembrano aver voluto sottolineare che un analista non può e non deve mai smettere di lavorare su di sé se vuol fare bene il suo mestiere e che quandanche si lavori da tempo coi propri pazienti non smettiamo mai di esserlo anche noi a nostra volta. Insomma chi è il “dottore” dentro una stanza d’analisi e in un incontro di supervisione? Il buonsenso e certe regole, scritte e non, direbbero che c’è una persona che chiede aiuto ad un’altra, proprio come nell’analisi e che dunque quest’ultima ricopre il ruolo di “curante”. Eppure emerge con forza, fin dal primo incontro con il supervisore il conflitto di Giovanni, che se da un lato le chiede aiuto, dall’altro appena entrato si siede al suo posto e lei sorridendo, ma con fermezza, lo rimette al suo posto: «lì mi siedo io» gli dice. Si coglie tutta l’ambivalenza di Giovanni che pur chiedendo aiuto, ora non si sente più un giovane allievo e vuole mostrare al “genitore” che è cresciuto, che è “diventato grande”. Insomma l’inconscio è sempre in agguato, tanto nella mente dei pazienti quanto in quella dell’analista. Già Freud e collaboratori se ne erano accorti abbastanza in fretta e se avevano chiamato “traslazione” (transfert) ciò che il paziente provava per l’analista proiettando su di lui sentimenti in buona misura diretti verso altre figure significative della sua vita, avevano pure capito che lo stesso può accadere all’analista (controtransfert). Il buon Dr. Mari, come chiunque di noi che faccia questo mestiere, non può sentirsi “al sicuro” solo perché protetto da un apparato professionale fatto di distanza di lavoro, orari fissi e lettino (il setting). Può anche dire di “no” rispondendo alle avances della sua paziente Sara, ma non gli basterà farsi scudo con le regole del setting se non analizzerà VERAMENTE e fino in fondo cosa sta davvero provando in quel momento, complice anche una grossa crisi matrimoniale (ne sono testimone i suoi continui lapsus dentro e fuori le sedute). E questo in fondo è anche ciò che gli dice Anna, il supervisore, suscitando le sue ire (anche a noi analisti la verità spesso piace poco, come ai nostri pazienti) ricordandogli cosa successe al padre, professore, che se ne andò di casa con una sua studentessa. La sessualità dei genitori per un figlio si sa è argomento assai spinoso anche se oggigiorno molti si riempiono con facilità la bocca di termini come “Edipo” e Giovanni reagisce molto male sentendosi messo a confronto col padre, verso cui nutre, verosimilmente, parecchia rabbia. Ma l’intreccio si infittisce ancor più nella seconda puntata, mostrando come in un gioco di specchi che è sempre questo in fondo il motivo del conflitto anche tra Giovanni e Anna, motivo che l’ha portato a interrompere le supervisioni con lei. Otto anni prima Giovanni, suo allievo aveva affidato alle sue cure un caro amico, il quale si era innamorato di lei. Forse incapace di fronteggiare diversamente la situazione la stessa Anna aveva abbandonato paziente e trattamento, un po’ come fece molti anni prima Breuer con la sua paziente diventata poi celebre Anna (sic!) O. partendo per un lungo viaggio. Tutto ciò che non riesce ad essere analizzato rischia di essere agito, ovvero messo in scena e ripetuto all’infinito nel grande teatro della realtà. Ma allora, verrebbe da dire, qual è in fondo la differenza tra un buon analista o un buon supervisore e un paziente se entrambi sono prima di tutto persone? Io risponderei che un analista e un supervisore hanno speso molto tempo ed energie proprio al fine di maturare una capacità di ascolto verso sé, essendo stati a loro volta pazienti analizzati. In possesso di questi strumenti possono infine essere maggiormente consapevoli di cosa accade nel loro mondo interno e in quello dei loro pazienti.

15 aprile 2013

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