Cultura e Società

25 Novembre – Contro la Violenza sulle donne. F. Roia, Presidente del Tribunale di Milano, dialoga con A. Migliozzi

23/11/23
25 novembre, Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle donne. Perché parlarne ancora?

GABRIELLA KURUVILLA, 2023 *

Parole chiave: Femminicidio, 25 novembre, Psicoanalisi, Violenza

Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle donne

25 NOVEMBRE 2023

E’ ancora difficile essere una donna, scrivevamo qui un anno fa. Ribadivamo quanto fosse difficile per la natura stessa del corpo femminile con i suoi misteri e il suo eros che destabilizza la visuale patriarcale, mettendone in scena tutti i limiti e la violenza. Avevamo cercato di ripercorrere i momenti di maggiore problematicità del difficile rapporto uomo-donna, della violenza che talvolta attraversa tale rapporto fino al suo lato più scabroso e al suo esito più drammatico, il femminicidio. Ci era sembrato utile ricordare quanto fosse stato importante, con il progredire della vita e del peso delle donne nella Società, arrivare al processo PORTE APERTE per reati di stupro, una conquista avvenuta nei lontani anni 70, che aveva garantito la possibilità di portare sostegno alla vittima che spesso e volentieri veniva trasformata in imputata.

Intanto la violenza rapace dell’esercizio fallico non smette di fare vittime tra le donne. Forse anche per l’aumentare delle guerre, come ci ricordava Cimino, il maschio guerriero che si risveglia non può non approfittare della contingenza per la quale, ”l’uomo comune è autorizzato a diventare un assassino” e fare oggetto di violenza, per di più senza gli abituali deterrenti, il nemico di sempre, ossia il femminile in quanto differenza radicale. Aggiungevamo che  nelle relazioni violente l’uso narcisistico perverso dell’altro, il mancato riconoscimento della sua volontà, l’annullamento della sua percezione come persona altra, la sua deoggettualizzazione e riduzione allo statuto di cosa, di roba per il soddisfacimento di propri bisogni e desideri, di cui si reputa avere il possesso assoluto, rende impossibile la separazione e dà il via libera all’aggressività, alla violenza, alla distruzione dell’altro (Giornata contro la violenza sulle donne: una riflessione sui legami violenti di M. Naccari ). Janigro (2012) affferma che chi uccide o sevizia una donna, non sopporta di essere lasciato, non riesce ad immaginare di rimanere senza quello che crede sia un suo possesso, che uccide e poi si uccide perché insieme al corpo dell’altra ha distrutto il proprio femminile.

A questo punto, non serve, “un vacuo rituale di autocritica, magari condita da moralismo e un po’ di cosmesi del linguaggio, ma che lascia intatti i rapporti concreti di potere. (Fontana, 2023)” Per questo denunciare non protegge solo se stesse ma argina l’aggressività dell’altro poiché mette l’individuo violento di fronte alle proprie responsabilità grazie a un’istanza superiore, la Legge.

Quest’anno abbiamo scelto di dialogare un Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano e Fondatore dell’Osservatorio Violenza sulle Donne, che da sempre si occupa da uomo di Legge e come studioso e formatore, delle tematiche che riguardano la violenza contro le donne. Recentemente ha pubblicato per Franco Angeli il volume “Crimini contro le donne, politiche, leggi buone pratiche”, un libro destinato a tutti gli operatori che si occupano della gestione dei casi di donne vittime di violenza.

Gentile dott. Roia, a nome mio personale e della Società Psicoanalitica Italiana, grazie di aver accettato di dialogare con noi. Cosa può dirci da uomo della legge, sulla violenza che viene ormai quotidianamente perpetuata sulle donne? E’ un problema strutturale, storico, trasversale a tutti gli strati della Società che interessa tutti i gangli e presenta una precisa origine storica e antropologica del predominio del genere maschile su quello femminile. Da uomo di Legge, vedo che in Italia per esempio alcune leggi che hanno assicurato la parità tra uomo e donna siano intervenute tardi. La legge sul Divorzio è del 1970, prima non si poteva divorziare. La riforma del Diritto di Famiglia è del 1975: prima l’uomo era il capofamiglia e poteva per esempio unilateralmente decidere la propria residenza familiare. La legge sulla Violenza Sessuale è del 1996; prima si puniva lo stupro non come un reato contro la persona ma come un reato contro la moralità pubblica e il buoncostume. Fino al 1981, quando era in vigore una forte attenuazione di pena per il delitto d’onore, quindi lesioni o omicidio d’onore nei confronti di una donna che veniva colta in flagranza di adulterio, poteva essere punito con una pena che prevedeva fino a 3 anni di reclusione, pena che oggi si applica nei confronti uno scippo. Le leggi sono arrivate tardi perché c’era una cultura dove la famiglia veniva considerata un luogo chiuso, dove un uomo violento doveva e poteva essere sopportato e dove l’intervento Istituzionale esterno veniva visto con grande diffidenza. Poi dagli inizi degli anni ’90, grazie soprattutto alla spinta di grandi battaglie Femministe, le cose hanno iniziato a cambiare. Oggi abbiamo un buon reticolo di Leggi, una buona normazione che ci consente di affrontare efficacemente il problema. Per fare questo, le leggi devono essere applicate con professionalità, con competenza e con efficacia.

La Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne (25 novembre), è l’occasione per far luce su una storia che inizia da molto lontano da quando, l’uomo di sesso maschile viene giudicato idoneo al potere e la violenza sulle donne è una risposta al potere procreativo femminile che non è più controllato dalle leggi della famiglia patriarcale. Cosa ne pensa? Penso che la violenza sulle donne sia una risposta Narcisistica da parte dell’uomo che non accetta che la donna assuma posizioni di potere in un assetto Societario fondamentalmente di predominio maschile. Nel settore delle Istituzioni, della Cultura, dove la donna ha cominciato ad acquisire posizioni di dirigenza, di affermazione, vedo da parte del potere maschile una reazione che non accetta questa conquista della donna, come se si ritenesse, e ancora si ritiene, in maniera subliminale che quel potere spetti esclusivamente all’uomo. Se ad esempio una donna acquisisce una posizione di potere, molti uomini dicono che quella posizione è stata raggiunta non per un merito, per cultura, intelligenza ma per una mercificazione del proprio corpo.

Il processo a PORTE APERTE per reati di stupro, una conquista delle donne avvenuta fin dai lontani anni 70 ha garantito la possibilità di portare sostegno alla vittima. La richiesta era stata quella di poter tutelare la vittima che spesso e volentieri veniva trasformata in imputata. Oggi, alla luce di un accanimento quotidiano attraverso omicidi e violenze domestiche quotidiane, la presenza viva delle donne che non cessa, anche di fronte agli assassini che popolano le aule dei tribunali, è necessaria ancora per realizzare un completo cambio di scena? Direi che il processo a PORTE APERTE ha contribuito certamente a cambiare le cose e da allora sono stati fatti molti, molti passi avanti malgrado ci sia sempre stato un contesto sociale molto pigro sul piano dell’evoluzione del riconoscimento della violenza contro le donne. Oggi, ci sono molti strumenti che tutelano la donna, che obbligano a tutelare la donna, perché attenzione il diritto di difesa dell’imputato, che è inviolabile nel nostro sistema, non deve essere ritenuto confliggente con il nostro sistema di diritto di tutela della persona offesa/vittima/donna nei procedimenti penali per, ad esempio, violenza sessuale. Questi due diritti devono poter coesistere per cui oggi abbiamo una serie di meccanismi processuali che ci impongono, che derivano da queste numerose leggi che abbiamo che derivano a loro volta da una legislazione sovra Nazionale Europea, che sta andando molto più rapida di quella Nazionale, che ci impongono di tutelare la donna dal processo e nel processo, anche se ogni tanto si verifica qualche fenomeno di retrocessione sul piano culturale dove vengono ancora poste domande, nei processi per violenza sessuale, che riguardano la moralità, la vita sessuale, condizioni della vita della donna che a nulla rilevano l’accertamento del fatto, domande che peraltro sono state vietate dalla nuova legge sulla Violenza Sessuale che in Italia è in vigore dal 1996. Ogni tanto, però, si inserisce ancora il pregiudizio di voler fare il processo alla vittima e non all’imputato.  

C. Cimino, sulle pagine di questo sito, si chiedeva se non ci fosse stata una femminilizzazione dell’uomo in quanto quella che sembrava una prerogativa di Medea, ovvero l’emblema della donna che non accetta il tradimento e l’abbandono e infligge a Giasone la più terribile delle punizioni, sia diventata l’arma dell’uomo, ovvero uccidere per colpire ciò che la donna ha di più caro. Cosa ne pensa? L’uomo uccide i figli per punizione, per fare un dispetto alla donna che magari decide, unilateralmente di rompere la relazione. Tutte le storie di femminicidio hanno una specie di fil rouge drammatico che evidenziano come il femminicidio sia una programmazione, una preordinazione. Dal punto di vista giuridico comportino una premeditazione al gesto estremo, perché la donna decide unilateralmente di rompere un legame e l’uomo non accetta la rottura di questo legame. Deriva nuovamente dalla perdita di potere e dalla lesione di quel tratto narcisistico, per cui il narciso si specchia, vede che l’immagine si è abbruttita e rompe lo specchio piuttosto che accettare che l’immagine si sia imbruttita, perché si è invecchiati o altro

Sarebbe dunque una non accettazione del ribaltamento da una posizione di supremazia ad una più paritaria Sì, direi un cambio da una prospettiva di potere ad un’altra differente. Faccio un esempio, quando una donna esercita una posizione di potere, o ritenuta tale nel contesto sociale, e l’uomo ne ha meno ci vuole una grande capacità e intelligenza perché il legame non si rompa; molte donne esercitano un potere in situazioni dove l’uomo non accetta una condizione sociale ritenuta inferiore, uno stipendio minore rispetto alla donna, questo è ancora raro ma comincia ad esserci e l’uomo non lo accetta. Può   crearsi una tossicità del legame che porta anche alla violenza.

Le sembra condivisibile l’idea che il compito della donna del presente non sia solo quello di difendersi dalla violenza omicida maschile ma anche la forza di conquistare un destino propriamente umano, di cui l’uomo ha creduto, e ancora in parte crede, di esserne l’unico protagonista? Direi che sarebbe importante far riconoscere il diritto femminile alla totale parità rispetto all’uomo nell’ambito delle relazioni affettive e nell’ambito sociale. Sono diritti che vanno affermati, che vanno vissuti, vanno interpretati. Molte volte le donne proprio perché c’è questa cultura della mistificazione, tendono a sottovalutare gli indicatori di violenza maschile nella relazione. Ci dovrebbe essere un aiuto nella lettura di indicatori. Ma sappiamo che è difficile in quanto spesso le donne vengono educate a poter superare momenti di difficoltà del rapporto che nasce su un affetto ma che poi degenera a causa del comportamento violento maschile. E le donne stesse molte volte pensano di poter risolvere la situazione nell’ambito del rapporto stesso, violento e tossico. Ma questo purtroppo, come ci dice l’esperienza, non succede. L’uomo violento non cambia se non c’è un intervento esterno che lo porti al riconoscimento del disvalore della sua condotta.

E’ auspicabile a suo avviso la costruzione e condivisione di indicatori che aiutino a riconoscere la violenza in un rapporto oppure è illusorio e addirittura controproducente. Educare le giovani donne a riconoscere gli indicatori; penso che gli indicatori di una violenza siano alla fine molto facilmente decodificabili. Per esempio, si scambia la gelosia come una declinazione dell’amore invece è una forma di possesso: chi controlla il cellulare o impedisce delle relazioni amicali, anche di genere diverso, è un soggetto che evidenzia dei segni di controllo che possono sfociare in condotte maltrattanti. Se iniziasse a comprendere velocemente questi segnali, probabilmente riuscirebbe ad uscire prima da una relazione che necessariamente è destinata ad essere tossica. L’augurio è che si possa continuare nell’investire molte risorse sul piano educativo strutturale dalle giovanissime generazioni. Qualche pedagogista afferma, e mi trova d’accordo, bisognerebbe partire dalla scuola dell’infanzia e bisognerebbe abbattere quegli stereotipi del tipo, il maschio non piange la femmina piange, il maschio è un principe e la femminuccia è una principessa e molti altri. Educare ad una effettiva parità di genere, rispetto della diversità di genere. Ma soprattutto che ci sia uno scatto sociale forte da parte di tutti noi nel quotidiano; ad esempio attraverso l’isolamento, parlo da uomo, di chi pratica un linguaggio sessista, chi fa commenti sessisti o chi si pone in modo sessista verso il corpo della donna. Se fosse isolato in ambito amicale, probabilmente comprenderebbe che questa forma non è più accettabile. Isolamento, dunque, per quanto riguarda i germi di violenza per quanto riguarda il genere maschile e una quotidianità di sentinelle sociali di chi è in contatto sul piano amicale o/e professionale, con una donna che racconta o evidenzia segni di violenza perché possa immediatamente riconosciuta e affrontata. E’ un problema che riguarda non soltanto chi è violento ma è un problema sociale che riguarda chi sta intorno alla vittima e tutti noi.   


* Non sei sola.  10 panchine rosse per 10 artist*, progetto ideato e curato da City Art in collaborazione con il Comune di Milano in occasione del 25 novembre (www.cityart.it)

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