Cultura e Società

“Don Juan” La Psicoanalisi a passo di danza. Recensione di M. G. Gallo

2/12/22

Parole chiave: Psicoanalisi, Eros, Desiderio, Delirio

Don Juan

La Psicoanalisi a passo di danza

Recensione M.G. GALLO

Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto

Coreografia :Johan Inger

Drammaturgia:Gregor Acuna-Pohl 

Musica originale: Marc Alvarez

I miti sono intramontabili, antichi e sempre attuali e così lo è quello del Grande Seduttore: da personaggio teatrale a musicale nell’apice dell’opera mozartiana, il Don Giovanni è stato oggetto nelle varie epoche di tante rielaborazioni, sfide artistiche e interpretative. 

La stessa psicoanalisi ne ha fatto oggetto di numerose e raffinate analisi e declinazioni, ma è con piacevole sorpresa che nell’opera danzante “Don Juan” della FND/Aterballet, ho assistito quasi ad una raffinata seduta di psicoanalisi a…passo di danza e della contemporaneità. 

L’opera di cui sopra è frutto di una colta e sapiente lettura di ben 25 testi diversi ispirati al personaggio da parte del coreografo J.Inger e drammaturgo G. Acuna Pohl; tra le ispirazioni più pregnanti, tuttavia, c’è quella del testo spagnolo del 1630 “El Burlador de Sevilla y Convidado de piedra “di Tirso de Molina nonché la rivisitazione dell’opera in chiave femminista di Suzanne Lilar.

Il risultato è una rivisitazione attuale e moderna del personaggio e un suo scavo interiore a partire dal suo rapporto con la figura materna abbandonica che sin dall’inizio s’impone sulla scena come “la Madre”, il fil rouge dell’opera e conclusione drammatica della stessa.

Il trauma originario abbandonico, quindi, (più che la continua ricerca di conferme narcisistiche) che genera la schiavitù della coazione a ripetere: per far fronte alla separazione dal grembo materno, al grande vuoto interiore creatosi, Don Juan “ha bisogno di collezionare grembi materni” dice lo stesso regista/coreografo.

E assistiamo, infatti, sin dall’inizio al mimarsi di un ventre materno ingravidato e ad una madre che partorisce, nutre, calza e veste il piccolo Juan per poi abbandonarlo generando in lui la perenne ferita.

Il potere che le donne hanno per Juan è il potere abbandonico che si tratta di tenere a bada, fronteggiarlo, rovesciandolo nel contrario: sedurre, condurre a sé per poi abbandonare e vendicarsi del torto originario subito lasciando sulla propria strada cadaveri simbolici e reali (il Commendatore, padre di Donna Anna). 

I 16 danzatori interpretano in modo eccellente sia dal punto di vista tecnico sia psicologico i personaggi; Hélias Tur-Dourvault è un Don Juan dalla prorompente fisicità: riempe la scena buia sia reale che interiore del personaggio che non può che vivere nel “qui ed ora”, in un eterno presente di agiti e senza altro spessore che il proprio corpo erotizzato ad estrema difesa dal profondo vuoto depressivo.

La “grande sfida”, nell’intento e nelle stesse parole del coreografo/regista, è lo scavo interiore del personaggio e del comportamento maschile quando si esprime con queste modalità, la grande immaturità emotiva e sentimentale, la sua profonda solitudine.

Sulla scena compaiono pareti nere e mobili, teatro” di quanto avviene nel tormentato e cupo mondo interiore del personaggio: sono i suoi blocchi emotivi, i letti dei suoi misfatti sessuali, i luoghi delle sue lotte, le tribune; barriere che lo separano dall’Altro, dalla possibilità di una relazione autentica.

Attorno e dietro ad esse i personaggi ruotano, danzano, scompaiono seguendo la figura della madre e ricompaiono sulla scena in un faccia a faccia accusatorio; pareti che diventano sempre più nere: ad indicare il progressivo stato di degrado e perdizione del protagonista.

Compaiono: reggendo simbolicamente in mano una casa in miniatura e con una carrozzina, la sedotta e illusa Elvira che invano aveva cullato il sogno di “fare casa” e quindi di sposare e rendere padre Don Juan; Zerlina sottratta a Masetto il giorno delle nozze e che stava cadendo nella rete tentatrice dell’ultima avventura prima del matrimonio; la popolana Tisbea sedotta e derisa; Donna Anna, vittima di un inganno, che crede di flirtare con il marito Don Ottavio e alla quale Don Juan uccide il padre accorso in difesa della figlia.

Luci e ombre caravaggesche si alternano alle luci fantasmagoriche e colorate del Carnevale mascherato, dolci duetti e terzetti a scene corali, passi di danza sensuali ad altri bellicosi come a sottolineare i contrasti interiori e la dualità del personaggio Don Juan, angelo caduto dal cielo, figura demoniaca con le ali, il cui alter Ego in questa rivisitazione è il buon Leo, non tanto suo fedele servitore coinvolto nei misfatti del padrone, quanto suo specchio che all’agito contrappone la capacità riflessiva, l’altra faccia o diremmo la sua parte sana ma inascoltata. 

E inascoltata permane anche quando , mentre consuma lo stupro della giovinetta Ines alla quale si è presentato con ali d’angelo ,alla ragazza si sostituisce, come in una visione pseudodelirante, la Madre, unico vero e grande Giudice della vita di Don Juan che in questa originale rivisitazione Inger ha sostituito alla figura del Commendatore; è un attimo: Don Juan sembra allucinatoriamente  percepire la verità profonda della sua vicenda traumatica e riconoscere chi sta “dietro” a tutte le figure di donne sedotte abbandonatrici e abbandonate; ne rimane sconvolto, ma non si pente, non si dà una possibilità di riscatto neanche di fronte a quello che sembra essere un estremo e inaspettato tentativo materno di riparazione , la mano amorevolmente tesa.

La tragedia finale allora si consuma: in un’atmosfera luciferina e cupa per un attimo e illusoriamente l’“angelo caduto” , Don Juan, sembra risplendere di una luce sinistra e narcisisticamente “trionfare” troneggiando su una colonna  sotto una pioggia di cenere che altro non è che la sua e la fragilità umana intera.

Ne sarà inesorabilmente sommerso e inghiottito.

         

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