Cultura e Società

Giorgia The Queen of queer. C. Buoncristiani T. Romani

14/10/22
Giorgia The Queen of queer. C. Buoncristiani T. Romani

ANDY WARHOL

Giorgia

The Queen of queer

C. Buoncristiani  T. Romani

Perché Giorgia Meloni ha vinto le elezioni?

Posto in termini psicoanalitici, il quesito diventa interessante a patto che consideriamo il voto una questione che riguarda una buona parte degli italiani.

Allora proviamo a fare un esperimento. Proviamo a sognare. Facciamo nostra, come un’immagine onirica, questa Giorgia Meloni che diventa Presidente del Consiglio. Fin tanto che stiamo sognandola possiamo interrogarci su quale sia la spinta che le ha dato forma. La domanda adesso diventa: Giorgia Meloni ha intercettato qualcosa del desiderio inconscio individuale e sociale. Cosa?

Continuando a sognare potremmo fare una prima associazione di idee. Un aiuto ce lo fornisce Google, che – giocando un po’ – possiamo pensare come la memoria storica, un archivio plastico e sempre rimaneggiabile, che ordina i suoi link in base alla forza delle connessioni tra i diversi contenuti. Al nome “Giorgia Meloni” Google associa subito un’immagine: quella del rap “Io sono Giorgia”.

Si tratta di contenuto che in rete è diventato un Meme, un tormentone con una carica virale di diffusione epidemica. “Io sono Giorgia” è video di quattro semplici versi, ripetuti ipnoticamente fino a diventare musica dance su ritmo robotico. Quattro sintagmi identitari per un discorso che nasceva come “quadrato”, straight. Tradizione e Conservazione: un paradigma maiuscolo.

“Io sono Giorgia/Sono una Donna/Sono una Madre/Sono Cristiana”. Rilanciato innumerevoli volte. E però, se metti in loop infiniti quadrati non ottieni solo quadrati identici: stai curvando verso una nuova geometria. Non euclidea.

“Io sono Giorgia” nasceva come una carta d’identità. Doveva segnare il perimetro di un fortino in difesa della struttura tradizionale (Dio, famiglia, individuo, differenza di genere). Se fosse riuscita nel suo intento cosciente, forse Meloni non sarebbe dov’è. Non sarebbe stata votata come la grande alternativa al sistema (che lo sia davvero, questo è un altro problema). La sua fortuna è che l’effetto di senso non è andato nella direzione che lei progettava. Il frullatore semiotico della cultura contemporanea ha destrutturato il suo contenuto manifesto, facendolo implodere e trasformandolo nel suo (simpatico) contrario.

Una volta entrata nel circuito di scambi e transazioni accelerate e senza limite della rete è diventato un discorso che ha ritratto una donna bianca, eterosessuale, mamma e cristiana che nel suo auto-dichiararsi si decostruiva. Tanto che, una volta risignificata nelle sue stesse auto-definizioni, Meloni questa estate è stata cantata sulle spiagge da frotte di adolescenti (e non più tali) divertiti. I ragazzini, incarnazione e termometro del “contemporaneo”, riconoscevano “qualcosa” in Giorgia. Un quid che la sinistra non è stata in grado di intercettare, ma che Giorgia ha interpretato alla perfezione. Almeno inizialmente, a sua insaputa.

Come per il motto di spirito, il fallimento della rimozione libera piacere: in questo caso il piacere è dato dal desiderio inconscio di un soggetto che del paradigma della Tradizione vorrebbe disfarsi. Perché siamo ascoltati al di là di ciò che diciamo. Nella struttura stessa del motto di spirito cui Giorgia presta volentieri l’immagine, c’è però la necessità che il dire del soggetto sia rifratto dal prisma di un codice che lo ratifica, avallandone il messaggio: è in questo tipo di struttura che Giorgia si muove bene. L’Altro, che in questo caso è l’Altro queer, quello delle ragazzine e di tutti quelli che ormai vivono à la Baumann, la riconosce come emittente di un messaggio “edipico” fallito.

Nel suo messaggio manifesto Giorgia mette al bando tutto ciò che non è strutturato secondo il “nome del padre”. Ma ci pensa il codice del linguaggio queer a ratificare la sua vittoria, nel momento in cui, con il rap e tanti altri siparietti – cioè proprio con un motto di spirito – intercetta quello che mancava nel testo manifesto: l’aspetto inconscio, il non detto del messaggio.

Quella carta d’identità – “sono una Donna/sono una Mamma/sono Cristiana” – è diventata la cifra di quello che il teorico del genere Jack Halberstam definisce come – citiamo – una “forma rilassata di conoscenza ((2022, p. 101-106)”, un tipo di “stupidità” che può facilmente essere usato come un mezzo di resistenza al potere del discorso maggioritario.

E’ dunque svelata una dimensione che sta al di là del messaggio. Questo grande Altro con cui flirta Giorgia non ha a che fare con la Tradizione, ma ha l’aspetto simpatico ed eccentrico, un po’ poser magari, di quell’eccesso tipico di una certa sensibilità “oltre i limiti”. Ed in quanto “esagerata” e oltre che Giorgia si tradisce, ma trova un potenziale di seduzione nell’attribuzione di nuovi significati (tutti politicamente da verificare) all’interno di un’analisi opposta a quella “dritta” e maggioritaria. Ha la forza della parodia.

Se quelle frasi fossero inserite veramente in un algoritmo che funziona alla cieca, se in altre parole fossero trattate nella Regola (ipotesi a questo punto politica che esula da questa riflessione e che solo politicamente sarà un giorno materia di riflessioni e valutazioni), cioè nell’automatismo (Miller 2005), allora sarebbero discriminanti e terribili. Ma la Legge, in quanto è terzietà (Peirce 1995) è un simbolo. Un segno che non obbedisce a un codice di corrispondenza rigido. E’ strutturale e strutturante proprio perché deve essere “interpretata”. Volendo anche fraintesa. La sua “lettera” può trasgredire ed essere trasgredita.

Poi certo, se la Legge è un terzo, essa pone comunque la sua forma strutturante su un limite indicato dalla dinamica del riconoscimento (Benjamin 2006). L’Altro queer riconosce Giorgia. Essa crea cioè un segno che è un sembiante e in quanto sembiante apre al gioco. Questa Legge somiglia più a quel padre in grado di dire “sì” descritto ne “Il tramonto del complesso di Edipo” (Leowald 1980; Ogden 2006), che a una Legge ontologica e fondata esclusivamente su divieti e rinunce.

Per capire la potenza di fuoco conferita alla cifra stilistica di Giorgia si deve guardare a produzioni cinematografiche che dal discorso hollywoodiano “maggioritario” riescono a piegare verso la decostruzione del genere, in ogni senso. Ad esempio, Zoolander, film geniale, la cui vis comica consiste nel far emergere dai “modelli maschi belli in modo assurdo” l’anima omosessuale. O meglio ancora, si deve considerare Fatti, strafatti e strafighe del regista La Bruce. In quest’ultima pellicola, succede qualcosa di simile a quanto avviene nella trasformazione in rap del discorso di Meloni. Questo film, nota ancora Halberstam, è come se emergesse, per rovescio, una forma di verità rispetto alla cultura bianca dominante.

Questa verità svela una società che dimentica sempre ciò che ha preso in prestito e non ripaga i suoi debiti. Ovvero il fatto banale che la storia si ripete, ma noi non riusciamo ancora ad imparare da queste ripetizioni. E questo la dice lunga del rapporto del nostro Paese con il proprio passato, ad esempio con il capitolo del fascismo. Sempre con Halberstam (cit. e attraverso Giorgia questa volta gli italiani sono sembrati chiedersi se quella forma  possa essere considerata una strada percorribile per uscire dalla giungla tecnocratica e aziendale.

Insomma, per paradosso, il successo pop di Giorgia Meloni non si può ricondurre a quel meccanismo “classico” che finora ha giustificato ogni virata conservatrice e reazionaria, per cui si vota a destra quando si teme una deriva rivoluzionaria e destabilizzante. Piuttosto esso è spinto dal suo rovescio inconscio. La voglia di prendere una scorciatoia per evitare uno scoglio o per frantumarlo…

Il messaggio di Meloni è diventato un messaggio involontariamente queer, qualcosa che fonda la propria potenza sul suo stesso fallimento; sul suo inconsapevole opporsi agli obiettivi di successo fissati dal discorso maggioritario a cui pretende di appartenere.

Queer è infatti l’arte di fallire, una forma di resistenza attiva. Un’arma di guerriglia contro le logiche dominanti e ordinatrici. Così come queer è stato il desiderio sabotatore di milioni di persone: italiani che hanno votato il messaggio inconscio lanciato da Giorgia, un personaggio dude che, suo malgrado, è divento il simbolo di una ribellione. 

Grazie a questo Giorgia è diventata regina, grazie cioè alla potenza discorsiva del grande Altro liquido di questa nostra società capitalista. Un capitalismo che per sopravvivere si è dato al trasformismo e – almeno a livello simbolico – ha già da tempo annacquato il patriarcato, facendo proprie politiche inclusive. Ma anche, un capitalismo che quando si tratta di distribuire potere e risorse continua resiste nelle vecchie dinamiche di disuguaglianza e iniquità.

Anche da questo, forse, chi ha votato Giorgia orfano di politiche di sinistra che sapessero intercettarne i bisogni, è stato spinto, incoronandola “the Queen of Queer”.

Con buona pace della leader di Fratelli d’Italia, che il giorno prima delle elezioni si fotografava con due meloni altezza seno (un po’ tette, un po’ testicoli, a seconda dei gusti), è il “Meme” di una madre-padre queer ad aver vinto.

Bibliografia

Freud S. “Psicopatologia della vita quotidiana”, (OSF 5)

Halberstam J. “L’arte queer del fallimento” Minimum Fax, 2005

Lacan, J. “Seminari, Libro V”, Einaudi 2004

Loewald H. “Riflessioni psicoanalitiche”, Yale University 1980

Peirce C. S. “Collected Papers” University press, 1995 Ogden, T. H. “Leggere Loewald: L’Edipo ricon

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