Cultura e Società

Medea. Teatro Greco di Siracusa. Recensione di M. Trivisani

31/05/23
Medea 58ª stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico al Teatro Greco di Siracusa. Recensione di Mirko Trivisani 2

Feritoie di Alfredo Romano. Fonte Medea. Catalogo ufficiale della 58ª stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico al teatro greco di Siracusa. Fondazione INDA onlus.

Parole chiave: Mito, Medea, Inconscio, Vendetta, Violenza

Medea

58ª stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico al Teatro Greco di Siracusa

Con la traduzione di Massimo Fusillo e per la regia di Federico Tiezzi

Recensione di Mirko Trivisani


Il sole sta ormai tramontando, lo spazio scenico, vuoto, si tinge ora di rosso. Medea, per la prima ed unica volta, non lo abita, ma la sua assenza lo occupa. Lo sta facendo. I due bambini urlano disperati, lungamente. La violenza primordiale dell’inconscio, di ogni inconscio, è rappresentata davanti a noi. Dalla cavea qualcuno prova a difendersi, come può, una levata di flash prova ad alzarsi come scudi (Trivisani 2020), inutilmente. Ciò che non vediamo ma udiamo, sentiamo, penetra e risuona in noi spettatori, attoniti, storditi, increduli. Le altissime urla cessano; l’infanticidio è ormai compiuto. Gli arredi della casa che fu, scivolano e inesorabilmente rovinano. Quando rivediamo Medea, una magnifica Laura Marinoni, ella è ormai distante sul suo magico carro, inafferrabile, imperturbabile, ci insegna l’implacabilità della ferrea volontà.
Furente e lucida, la Medea di Tiezzi alla 58ª stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, percorre la scena con dignità regale e ferocia, la lunga veste sormontata da un animalesco copricapo di aquila reale. Le maschere indossate dagli attori, uccello rapace Medea, famelico coccodrillo Giasone e tutti gli uomini che esercitano il potere, rimandano al bosco che si staglia bellissimo e oscuro sullo sfondo della scena, e che rappresenta, nell’intenzione dello scenografo Marco Rossi, un altrove, una natura ancestrale che ci determina ma in modo enigmatico e misterioso. La scena si stende tra due poli, il bosco e la cavea, è quindi una zona di confine, qualcosa dall’altrove penetra e dà corpo alla scena, potrebbe essere lo spazio del sogno.

ph Mirko Trivisani

Ma torniamo a Medea. Siamo a Corinto, feroce punto di svolta, ma c’è un prima e un dopo. Il prima è la remota Colchide, terra barbara e incognita, terra di forza naturale. Il dopo è Atene, regno di Egeo e dell’apollineo, pronto ad essere invaso dal dionisiaco di Medea. Scrive Tiezzi (2023, p. 15): «La Colchide come un’alterità lontana eppure inalienabile, […] Qui, nella Colchide – la Colchide della storia e della mente – si può finalmente contemplare la violenza come qualcosa che appartiene all’ordine naturale delle cose. La natura è violenta come il Dioniso nietzchiano […] La Colchide è l’inconscio, la parte di noi che non ha paura del sangue e dei mostri».

Da Le Argonautiche sappiamo che Medea è figlia di Eeta, Re della Colchide. Ella discende direttamente da Elio, il titano dell’astro solare. Sacerdotessa di Ecate a lei consacrata sin da bambina, «Ecate è una dea antichissima, nera come le Erinni, […] è la dea dei parti e degli aborti, dei legami ancestrali di sangue, dei filtri che danno la morte e la vita, che rendono fecondi. È una dea tremenda e crudele (De Luca, 2007, p. 1036). La sua sacerdotessa dovrebbe restare vergine per non perdere la sua potenza nell’unione col maschio e nel parto. Per volere di Era, e con l’aiuto del dardo di Eros, Medea diviene ammaliata d’amore per Giasone e, attraverso le sue arti magiche riesce a trasformare il mediocre Giasone in un eroe capace di cimentarsi in imprese impossibili. Qual è dunque la natura del legame passionale che lega Medea a Giasone? Per Tiezzi è certamente una sconvolgente passione che lega lo stesso Giasone a Medea e non solo viceversa; i furibondi litigi sfumano infatti in una intesa erotica profonda e quasi inarrestabile. Euripide e Apollonio Rodio sono forse più cauti, Giasone è mosso da convenienza, quando avvicina la vergine Medea, quando la sposa e quando la tradisce. Quel che è certo è la tensione erotica di Medea verso un uomo, Giasone, dalla statura incomparabilmente inferiore alla sua, un uomo la cui inconsistenza è per giunta a lui del tutto inconsapevole. Scrive Apollonio Rodio: «Eros facendosi piccolo scivolò ai piedi di Giasone; adattò la cocca in mezzo alla corda, tese l’arco con ambo le braccia, e scagliò il dardo contro Medea: un muto stupore le prese l’anima. […] la freccia ardeva profonda nel cuore della fanciulla come una fiamma; e lei sempre gettava il lampo degli occhi in fronte al figlio di Esone, e il cuore, pur saggio, le usciva per l’affanno dal petto; non ricordava nient’altro e consumava il suo animo nel dolore dolcissimo» (p. 417, corsivo mio). Medea è spinta verso Giasone dall’ineluttabile potenza pulsionale. Da quel momento Medea tradisce la sua famiglia, la sua terra, ma anche se stessa e il suo voto di sacerdotessa, giungendo al punto di uccidere il suo fratellastro e smembrarne il corpo per rallentare l’inseguimento del padre, permettendo la sottrazione del Vello d’oro custodito da Eeta trasformando Giasone in un eroe. Lasciare la sua terra diviene quindi doppiamente necessario, per la passione che nutre verso Giasone e per quanto compiuto contro la sua famiglia.

Secondo De Luca (2007) lo sguardo di Giasone è il primo sguardo dove Medea vede riflessa la sua femminilità. Certamente nessun riflesso di femminilità è possibile scorgere nella dea Ecate, una potente madre che esige una scelta verginale e una dedizione assoluta. La predominante presenza paterna di Eeta e il suo potente investimento sulla figlia sembra escludere la possibilità che ella possa investire su un altro uomo. Eros con i suoi dardi potrebbe quindi rappresentare in un tale scenario la forza della spinta pulsionale, violenta e ineluttabile. «L’innamoramento è inevitabile e la dedizione al nuovo dio seguirà l’unica modalità che lei ha a disposizione: il voto di tutta se stessa. […] Per questo quando lo perde, lei si ritrova a perdere tutto quello che ha. La vendetta diventa il tema centrale in quanto reazione adeguata per eccellenza alle mortificazioni che vengono subite quando ci si muove nel terreno del narcisismo ferito» (De Luca 2007, p. 1044). L’espressione estrema della vendetta che Tiezzi ci mostra è quindi direttamente collegata e proporzionale alla forza di questo selvaggio innamoramento, di cui vediamo in scena dei residui ancora chiaramente erotici. Scrive Freud: «Un’offesa vendicata sia pure a sole parole, si ricorda in modo diverso da un’offesa che si è dovuta accettare […] La reazione della persona colpita dal trauma ha propriamente un effetto catartico completo solo quando è una reazione adeguata, come la vendetta» (Freud, 1892-95, p. 179-180).

Nella scena conclusiva, toccante anch’essa, vediamo il sangue che è stato necessario per la vendetta; con un gesto ordinario, banale, il coro mostra ed elimina al contempo, i segni della vendetta. Un’ultima nota meritano le musiche, eseguite dal coro di voci bianche e dall’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, con suoni fermi e insieme frementi e gesti musicali rapaci che sin dal prologo lasciano presagire l’esplodere della violenza.

Bibliografia

Apollonio Rodio (IIIº a.C.) Le Argonautiche. (traduzione di Guido Paduano e Massimo Fusillo). Milano, BUR, 2018.
De Luca J. (2007) Associazioni sul mito di Medea. Rivista di psicoanalisi, (53)(4): 1033-1054.
Euripide (431 a.C.) Medea. (traduzione di Ester Cerbo). Milano, BUR, 2018.
Freud S. (1892-95) Studi sull’isteria. OSF 1.
Tiezzi F. (2023) Il nome della madre. Medea. Catalogo ufficiale della 58ª stagione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico al teatro greco di Siracusa.
Trivisani M. (2020) Lo scudo di Perseo e il riflesso del mai-visto: brevi note attorno ad un particolare uso della fotocamera dello smartphone. Rivista Gli Argonauti, 162(2), 109-118.

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Il Manifesto 4/7/20 Padri che sembrano imitare Medea. S. Thanopulos

Leggi tutto

Il discorso amoroso. Dall’amore della madre al godimento femminile di C. Cimino (2015). Recensione di Laura Contran

Leggi tutto