Dossier

Identikit del Terrore – Strategie di Pace – Marzo 2015

3/03/15

(a cura di Silvia Vessella)

Stiamo vivendo un’attualità drammatica. Sembra che la Storia proceda all’indietro invece che correre felicemente in avanti verso il benessere di tutti. Sentimenti come paura, diffidenza, terrore e orrore sono diffusi. Nasce istintivamente l’impulso a fuggire o a rispondere attaccando: reazioni che esiliano dialogo e mediazioni. Spiweb dopo essersi nei precedenti dossier occupato dei temi della violenza, della crisi economica, della guerra e della crisi ecologica, si accosta, in questo nuovo dossier, all’esperienza della crisi di pensiero, allorché, annichiliti da un’emozione unica, si è sospinti verso un pensiero a massa, che riduce gli spazi per esprimere una propria soggettività.

E’ questo un tema centrale oggi, poiché sempre più spesso si assiste a manifestazioni massicce di aspetti arcaici della mente, quelli della legge del taglione, con l’idea frequente del ricorso all’arma della forza e non a quella del dialogo.
Chi agisce distruggendo e seminando il terrore ha un unico linguaggio, che si presenta come unica via possibile, in nome di una legge di giustizia perentoria. Chi lo subisce, in preda al terrore, vive la scomparsa di ogni possibilità di pensare altro. Questo orienta pericolosamente le menti verso l’idea di un’ineludibile guerra. Scopo di questo dossier allora è il desiderio di dare spazio ad argomentazioni che illuminino la complessità del campo e a vertici di osservazione diversi, orientati alla ricerca di una maggiore articolazione della verità. Giornalisti, psicoanalisti, antropologi, operatori delle professioni di aiuto e delle agenzie internazionali cercano con il loro contributo di mettere in campo ipotesi diverse, orientati a capire meglio se esistono altre possibili soluzioni.

Il quesito fondante che si pone: è possibile una strategia di pace? Risponde Alessandro Politi, che si occupa di analisi strategiche, quindi prevalentemente orientate allo studio delle guerre.  L’analisi storico-politica viene in nostro soccorso rispondendo alla domanda se l’avvitamento terrorismo-guerra ha risolto i problemi che avevano scatenato tali forme di reazione. Gli esempi che ci offre Massimo Cavallini dal Sudamerica eCarole Beebe Tarantelli sull’Italia degli anni ’70 sembrano suggerire altro. Che il tema sia antico poi lo dicono i miti. Se pensiamo quanto attuale sia il mito di Medea, la barbara migrante, delusa nelle aspettative, che mette una bomba nel futuro con l’uccisione dei figli ! (Rassegna Stampa)

Il suo fu gesto di giustizia primitiva. Poteva e soprattutto potrebbe essere altrimenti? Riccardo Romano ne parla attraverso i miti di Oreste, di Antigone, o attraverso la tragedia della Shoah, tutti coniugati strettamente con il nodo problematico della giustizia. S’intrecciano con quelle storiche e mitologiche le riflessioni dello psicoanalista, che, partendo dal proprio specifico, traccia alcuni percorsi patologici che culminano nel “male assoluto ” (Franco De Masi), mentre spunti interessanti di elaborazione offrono alcuni saggi fondamentali sulla “banalità del male “(Gabriella Giustino). L’esplorazione e la mappatura di un campo necessita anche di uno sguardo ravvicinato, alla ricerca di possibili strategie. Penso a coloro che condividono da vicino l’esperienza del terrore: chi si occupa di emergenze umanitarie (Vichi De Marchi), chi lavora in un centro di accoglienza per migranti non accompagnati (Angela Romano), chi opera in un’istituzione concentrazionaria (Massimo De Mari), o chi ha vissuto la segregazione razziale e poi si è trovata, come psicoanalista, faccia a faccia con il torturatore (Patrizia Montagner e Ambra Cusin). A volte l’esperienza del terrore ha la verità, la violenza e la crudezza del terrore psicologico e tocca da vicino l’analista che si trova a incontrarla nella solitudine della stanza d’analisi, con il solo ausilio della propria esperienza (Antonio Alberto Semi). Anche il cinema da sempre racconta il terrore e ciò permette a uno sguardo esperto di rintracciare nella storia di tali film l’evolvere delle vicende politiche del mondo (Gabriella Gallozzi), poiché di certo il cinema è stato veicolo importante di globalizzazione della comunicazione e di condivisione di questioni problematiche della contemporaneità (Rossella Valdré). Infine se coniugare il tema terrore nel singolo con quello nel gruppo sociale appare complesso, il dialogo-intervista del collega Alfredo Lombardozzi con l’antropologo Fabio Dei evidenzia alcune possibili coordinate.

È chiaro che tutte queste sono solo alcune voci di un campo più vasto e soprattutto complesso. Non abbiamo fornito la Risposta, non potevamo, e non era in questione. In questione era la possibilità della parola e dell’ascolto. Solo la parola, e questo sì che lo affermiamo con forza, amplia orizzonti e possibilità d’incontro.
La speranza è di non giungere a quel “punto di non ritorno”, sia nel singolo sia nel sociale, quando la parola tace e parlano la distruzione e la morte.

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