Dossier

Espansioni – Psicoanalisi e “crisi ecologica”

2/12/14

14Psicoanalisi e “crisi ecologica”

Maria Grazia Vassallo

Una psicoanalisi che si chiude nella torre d’avorio di una ricerca teorica e clinica completamente avulsa dalla realtà – e dalle problematiche sociali più ampie – è sicuramente un rischio e una tentazione che sono a tratti affiorati nella nostra disciplina. Tuttavia, a onor del vero, non solo S. Freud dedicò riflessioni a temi quali la guerra, il disagio della civiltà, i meccanismi psichici che legano le masse ai capi carismatici, ma fin dagli esordi del movimento psicoanalitico molti sono stati coloro che si sono impegnati a creare strutture educative o ambulatoriali per la prevenzione e l’intervento su bambini, famiglie e comunità segnate da disagi sociali o traumi collettivi. Queste esperienze hanno anche dato nuova linfa alla psicoanalisi, arricchendone ed ampliandone la ricerca sia teorica che clinica in ambiti quali l’infanzia, la coppia e i gruppi.

D’altro canto, oltre al dialogo con discipline tradizionalmente più frequentate dagli psicoanalisti quali l’arte e la letteratura, o la sociologia e le scienze del cervello, più recentemente il pensiero psicoanalitico è stato messo al lavoro anche sulla crisi economica mondiale iniziata nel 2008. Da più parti si sono esplorate le motivazioni profonde che muovono i flussi finanziari, e le ricadute psichiche – sociali, individuali, e anche nella stanza d’analisi – dell’improvviso mutamento di scenario rispetto ad un’idea di benessere economico percepito illusoriamente come in inarrestabile espansione.
Altro orizzonte inquietante è quello prefigurato dalla “crisi ecologica” connessa al cambiamento climatico, che in maniera sempre più allarmante e minacciosa si segnala con catastrofici disastri naturali, sintomi di un malessere profondo del pianeta che ci ospita e a cui dobbiamo la nostra sopravvivenza come specie. Il riconoscimento del legame inscindibile tra l’essere umano e l’ambiente che gli fornisce cibo, acqua, aria, dovrebbe portare ad un’assunzione di responsabilità per favorire condizioni di vivibilità globale, laddove un atteggiamento d’indifferenza, se non di avido e onnipotente sfruttamento delle risorse, ci mette ormai di fronte ad una profonda alterazione delle condizioni di vita sulla terra.
Comincia a farsi sentire l’esigenza di un dialogo critico tra psicoanalisi ed ecologia, per affrontare un problema che costituisce ormai un pericolo ed una sfida collettiva.
A quanto mi risulta, un movimento in tal senso sta prendendo corpo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, mentre in Italia nulla ancora è stato avviato in questa direzione. Mi limiterò dunque ad alcune segnalazioni in lingua inglese.
Il 16-17 Ottobre 2010, presso l’Institute for Psychoanalysis a Londra, diversi piscoanalisti si sono confrontati con scienziati, ambientalisti, educatori e politici per uno scambio interdisciplinare teso a favorire una migliore comprensione degli ostacoli che si oppongono ad una presa di coscienza più ampia di questo problema. La conferenza londinese è stata aperta da D. Bell, e tra gli analisti che vi hanno partecipato c’erano I.Brenman-Pick, M.Rustin, J.Steiner, B.Hinselwood, S.Weintrobe, M.Brearly, L.Bayer, insieme a molti altri. Si è discusso di come il nostro senso di identità venga minato dalla presa d’atto relativa al cambiamento climatico, e della connessione o disconnessione con il mondo della natura. Ci si è interrogati sul “mito dell’apatia”, chiedendosi fino a che punto e perché le persone non rispondono e non si attivano di fronte a fenomeni di grave criticità e pericolo, e da quali profonde resistenze psichiche origini questa immobilità problematica e dannosa.
Tra gli ostacoli inconsci a prendersi cura del nostro pianeta vi è certamente il rifiuto a fare i conti con la necessità di trasformare la relazione con l’oggetto interno “natura”. Peraltro confrontarsi e tollerare la verità, non solo su se stessi ma in qualunque ambito, è sempre difficile per gli esseri umani, e richiede un complesso e doloroso lavoro psichico. Non vogliamo vedere il lato oscuro del nostro benessere sociale e della nostra “way of life”; ci proteggiamo dal senso di colpa che risulterebbe dal riconoscere la nostra implicita complicità o convivenza con lo sfruttamento cieco delle risorse naturali, dei costi e delle ricadute distruttive che ne conseguono.
Esaminando il modo di relazionarsi al mondo della natura, chi ha utilizzato un approccio kleiniano ha approfondito le articolazioni delle diverse “structures of feelings”: una configurazione schizo-paranoidea, che assume la natura come oggetto di possesso e di conquista illimitata attraverso l’onnipotenza della scienza e della tecnologia, e una configurazione depressiva, che mette in discussione quella precedente e accettandone la faticosa rielaborazione – con tutto il carico di sentimenti negativi e spiacevoli – può giungere ad attivare aspetti riparativi.
La negazione dell’entità della “crisi ecologica” è stata poi investigata non solo nella dimensione psichica individuale, ma anche nella dimensione collettiva gruppale per come si esprime a livello sociale e culturale, ove si individua una rappresentazione della realtà che va ad organizzarsi secondo modalità perverse. Non si accetta di fare i conti con il limite, e il benessere individuale viene perseguito a spese o nell’indifferenza rispetto all’oggetto usato strumentalmente, in una pretesa di “normalità” che pretende consenso, complicità o collusione.
Per chi volesse approfondirei le problematiche affrontate, questi sono i link alla registrazione audio-video degli interventi:

1 https://www.youtube.com/watch?v=4F27yNxbceQ
2 https://www.youtube.com/watch?v=U_ylBsNMwkk
3 https://www.youtube.com/watch?v=KZRnOqJsv7U
4 https://www.youtube.com/watch?v=iYdA-s2FvIg
5 https://www.youtube.com/watch?v=d7aFm0I2y2s
6 https://www.youtube.com/watch?v=wsfwHvBJfwI

Due libri importanti sono usciti sull’argomento. “Psychoanalysis and Ecology at the Edge of Chaos”, di Joseph Dodds, è stato pubblicato da Routledge nel 2011.
Dodds è uno psicoanalista ceco, fondatore del gruppo praghese di Neuropsicoanalisi e molto impegnato sui temi della “Ecopsicoanalisi” – fa anche parte della Management Committee della Climate Psychology Alliance, gruppo formato da psicologi e psicoanalisti di differenti orientamenti teorici. In questo libro, Dodds sostiene che la psicoanalisi ha un ruolo cruciale nel dibattito sul cambiamento climatico, in quanto con i suoi strumenti disciplinari essa è in grado di mettere a fuoco la dimensione inconscia della nostra vita mentale individuale e gruppale. Movendosi tra diversi paradigmi psicoanalitici – freudiano classico, kleiniano, relazioni oggettuali, psicologia del Sé, e anche Jung e Lacan – il libro illustra come la psicoanalisi possa essere di grande aiuto nell’individuare ansie, fantasie e difese inconsce che si rivelano cruciali per comprendere la dimensione umana della crisi ecologica. Dodds attinge alla “filosofia ecologica” di Felix Guattari, il filosofo francese che ha assunto come punto di partenza la confutazione dell’opposizione dualistica tra sistema umano (culturale) e sistema non umano (naturale). Nell’approccio monistico – e al contempo pluralistico/rizomatico – di Guattari, l’ecologia come campo di indagine diventa un fenomeno complesso, che include la soggettività umana, l’ambiente propriamente inteso, e le relazioni sociali, tutte intimamente interconnesse. Mente-Ambiente-Società sono dunque “tre ecologie” interdipendenti ed interagenti. Combinando questo approccio filosofico ai nuovi sviluppi delle scienze della complessità, Dodds integra la prospettiva psicoanalitica in una articolata cornice teorica di grande respiro e ricchezza, delineando un nuovo approccio interdisciplinare.
“Engaging with the Climate Change: Psychoanalysis and Interdisciplinary Perspective”, Routledge 2012, è un volume edito dalla piscoanalista inglese Sally Weintrobe, che raccoglie gran parte degli interventi presentati alla conferenza londinese del 2010 precedentemente segnalata, dove lei stessa aveva portato un contributo.
Weintrobe si propone di esplorare cosa significhi, sul piano psichico ed emotivo, confrontarsi con le minacciose conseguenze del cambiamento climatico, e coniuga la prospettiva psicoanalitica con le impostazioni proposte dalle scienze sociali. La riflessione di Weintrobe affronta diverse questioni, interrogandosi sulla difficoltà a riconoscere la nostra dipendenza dalla natura, sui meccanismi difensivi di scissione e negazione con cui cerchiamo di tenere a bada emozioni e sentimenti spiacevoli suscitati da questa realtà, sulla necessità di elaborare il lutto prima di potersi confrontare creativamente con le mutate condizioni ambientali in cui ci troviamo a vivere.
Troverete sinteticamente espresse le posizioni della Weintrobe anche in una interessante conferenza a cui rimando con questo link: http://vimeo.com/78805269
Infine sul sito dell’IPA è stato recentemente aperto uno spazio pubblico di discussione sul tema: Comment 02: Psychoanalytic considerations on Climate Change cui potete accedere cliccando questo link:
http://www.ipa.org.uk/en/comment/climate_change.aspx