Dossier

Pienezza – Tanta gioia nessun piacere

25/11/14

Rossella Vaccaro

Tanta gioia nessun piacere

E’ di questi giorni l’uscita in Italia del saggio scritto da Jennifer Senior, firma di spicco del New York Magazine, “Tanta gioia nessun piacere”, Ed. Rizzoli, settembre 2014 e pubblicato negli U.S.A. all’inizio dell’anno.  Un articolo della stessa autrice, apparso su “La Repubblica” dello scorso 15 settembre, ne anticipava le premesse: “Chi è genitore non è più felice di chi non lo è: diversi studi mostrano i costi di mettere al mondo un bimbo. Quando le madri non si divertono, la dura arte di crescere un figlio”. Lo scopo del libro, scrive la giornalista, è quello di analizzare l’influenza esercitata dai figli sui genitori in ogni fase del loro sviluppo, identificando quali di essi siano universali e quali invece prodotto di questa epoca storica.

Già nel 2008 la giornalista aveva scatenato un certo clamore come sempre accade quando si toccano tasti culturalmente e socialmente ad alta densità emotiva come, in questo caso, i possibili vissuti della maternità e della paternità. Con un articolo dal titolo “Why parents hate parenting”, “Perché i genitori odiano fare i genitori” diffondeva i sorprendenti dati di ricercatori di scienze sociali: non è per niente scontato che le coppie che hanno figli siano più felici di chi non ne ha, non di rado lo sono molto meno. Nell’articolo si riconobbero comunque in molti poiché dava voce al bisogno di legittimare vissuti frustranti e ambivalenti e di osservare quale fosse l’effetto della genitorialità sugli adulti e sulle coppie. Studi poco noti ma non nuovi: il primo resoconto data 1957, La genitorialità come crisi (E.E.LeMasters, Parenthood as Crisis, 1957). All’apice del cosiddetto “sogno americano”, sponsorizzato a garanzia di pace sociale di cui protagonista indiscusso era la middle-class americana la cui icona era la famiglia “felice” dove gli uomini lavoravano e le donne, ovviamente felici, badavano ai figli e alla casa (Il regista Sam Mendes ne ha fatto un eccellente affresco in “Revolutionary Road”, 2009, denunciandone  tutta la pericolosa ipocrisia). Il rapporto suscitò non poche reazioni e capovolgeva il consueto vertice di osservazione del rapporto genitori-figli, quello dell’influenza dei diversi stili educativi sullo sviluppo psicologico del bambino.

Ricerche continuate anche negli anni successivi hanno dato sempre più diritto di cittadinanza a realtà fino allora negate. Queste ricerche, oggi così lontane nel tempo, affermavano che spesso i bambini indebolivano il matrimonio, che a essere più compromessa era la salute psicologica delle madri e che i padri definivano meno stressante il lavoro rispetto allo stare con i propri bambini denunciando anche una maggiore pressione economica e insoddisfazione sessuale. Ancora negli anni ‘70 e nei successivi ’80, nuove ricerche evidenziarono che se lavorare migliorava la qualità della vita delle donne, in non pochi casi la nascita dei figli ne annullava gli effetti. Più di recente, c’informa Jennifer Senior, Daniel Kahnenan, premio Nobel in economia comportamentale, ha intervistato, nel 2004, 909 donne madri e lavoratrici chiedendo loro qual era l’attività che produceva maggiore piacere. Su una scala di diciannove possibilità, la cura dei figli ricopriva il sedicesimo posto. Inoltre, il piacere dell’interazione con i figli seguiva quella con gli amici, con il coniuge, con i parenti, con i conoscenti e i genitori. Allo stesso tempo questi stessi studi, continua l’Autrice, hanno però tentato di quantificare la qualità delle emozioni dei padri e delle madri: questi ultimi provano maggiori emozioni positive rispetto alle coppie senza figli. Quella dei genitori è pertanto, afferma lo scienziato sociale William Doherty (2011), “un’attività dagli alti costi ma allo stesso tempo con un alto rendimento”. Se diventare genitori comporta una sorta di terremoto nella vita, questa stessa assume maggiore valore. Di qui il titolo del libro: “Tanta gioia, nessun piacere”. Gli elevati rendimenti appaiono però difficilissimi da misurare perché spesso adombrati dai differenti “costi” dovuti alle diverse epoche di vita dei figli: quando piccoli soprattutto in termini di perdita di autonomia personale, di coppia e di maggiore fatica anche fisica oltre che emotiva. Dopo un periodo di relativa calma la tempesta insita nell’adolescenza nuovamente si ripercuote sulla vita delle madri, dei padri e della loro relazione. Alti costi dovuti ai profondi cambiamenti culturali, sociali ed economici che hanno investito i ruoli e le funzioni genitoriali e verso i quali non ci sentiamo ancora adeguatamente attrezzati. L’assenza di nuovi e collaudati punti di riferimento crea profondi squilibri individuali e famigliari rispetto ai quali J. Senior  individua tre cause fondamentali.

In primo luogo l’avvento degli anticoncezionali e successivamente delle fecondazioni assistite, ha determinato la possibilità di programmare da parte delle coppie la nascita di un figlio secondo le proprie esigenze come per altri importanti eventi di vita, investendo anche su questo la possibilità di una gratificazione personale. Come dire che come estensione di noi stessi ci aspettiamo che i figli ci facciano belli e bravi agli occhi del mondo esterno: devono essere attraenti, sani, educati, colti e adeguati.

La nascita di un figlio sembra oggi essere maggiormente intesa più come prolungamento narcisistico degli adulti anziché una normale tappa della vita. Questo non permette di riconoscere e tollerare le differenze del figlio, condizione necessaria per una funzione genitoriale riuscita, a sua volta garanzia di uno sviluppo equilibrato del figlio. Allo stato attuale delle cose appare sempre più evidente che se avere figli è stato a lungo considerato una delle cose più normali/naturali e non l’eccezione, oggi quello che sta avvenendo sembra essere l’esatto contrario.

In secondo luogo, la nostra esperienza di genitori è oggi più complessa perché più complicato è il nostro rapporto con l’attività professionale. Si lavora di più e l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha radicalmente riscritto le regole della vita domestica e “un non-ancora risolto problema sulla ripartizione delle responsabilità genitoriali fa sì che esse ricadano quasi esclusivamente sulle singole famiglie”.

Nella terza causa, la giornalista evidenzia ciò che a suo parere è l’elemento maggiormente destabilizzante l’attuale esperienza di genitorialità: “L’economia famigliare ha smesso di basarsi su un sistema di reciprocità, in cui i genitori proteggevano e nutrivano i figli, che in cambio portavano a casa qualche soldo. La relazione è diventata asimmetrica: i bambini hanno smesso di lavorare e i genitori lavorano il doppio. I figli non sono più i nostri dipendenti bensì i nostri capi”.

Le tesi sostenute dall’autrice attingono a ricerche di sociologi, economisti e pediatri che hanno applicato le loro metodologie di studio su gruppi di persone della media borghesia americana; rappresentano quindi uno dei vertici di osservazione possibile e come tale non esaustivo dei molti approfondimenti possibili. La pratica psicoanalitica c’insegna che essere madri e padri costituisce un severo banco di prova per tutti i precedenti stadi di sviluppo e per la conseguente integrazione del singolo genitore, in altri termini si è genitori anche, e soprattutto, per come ci siamo sentiti come figli ma insegna anche che la nostra vita psichica trae origine da processi che si svolgono lungo tutto il cammino dell’esistenza. Essere genitori non è pertanto una cosa che facciamo, è una cosa che siamo: “Ciascuno di noi è la somma delle sue esperienze, e quella di crescere un figlio contribuisce molto a fare di noi le persone che siamo”. Per alcuni, forse, è la parte più importante”. In un’epoca di gravi e diffuse crisi adolescenziali, di fallimenti genitoriali, di aumento vertiginoso dei divorzi, dei femminicidi e figlicidi, di crisi di valori etici ed esistenziali, il foco dell’indagine proposto da J.Senior, può contribuire a un’ulteriore riflessione su come i figli influenzano la vita di una madre e di un padre, di una donna e di un uomo. La giornalista, che propone il suo scritto come un contributo per una maggiore comprensione e tolleranza di se stessi nel proprio modo di essere genitore e non per distribuire consigli, fa suo un assunto di base difficilmente confutabile: per nessuno escluso è possibile prepararsi granché per l’arrivo di un figlio, neanche per i più informati e organizzati. Perché quello che oggi sappiamo con certezza è che “diventare genitori è una delle metamorfosi più improvvise e radicali che l’adulto possa subire”. E una volta diventati padri e madri, lo si è per sempre.

Ottobre, 2014