Dossier

Ausilia Sparano. L’inconscio e la macchina dei bambini

12/10/17

Ausilia Sparano – Psicologa, psicoterapeuta, master in psicoanalisi della coppia e della famiglia (PCF). Consulente per l’età evolutiva e le famiglie presso l’ospedale “S. Giovanni Calibita – Fatebenefratelli” di Roma, dal 2005 si occupa del follow up psicologico dei bambini nati gravemente pretermine (0-5 anni) e delle loro famiglie. Svolge attività privata come psicoterapeuta di bambini, coppie e famiglie.

Il concepimento, la gestazione e la nascita di un figlio sono eventi naturali centrali nella storia dell’individuo, della coppia e della famiglia. Tali eventi sono in grado di mobilizzare le fantasie più profonde e i più potenti meccanismi a livello intra-psichico e inter-psichico. Con Freud (1914), la psicoanalisi si è interrogata fin dalle sue origini sul significato del desiderio di un figlio e su come le fantasie dei genitori possano essere trasmesse all’in-fans (letteralmente colui che non  ha parola). Quando la creazione di una nuova vita non si realizza nel mistero dell’incontro tra il desiderio di due persone, in quella che secondo Freud è la scena primaria, ma viene determinata in un laboratorio nella sterilità di una provetta, cosa avviene a livello psichico? Cosa avviene quando il contenitore che accoglie, contiene, nutre, protegge il feto non è l’utero materno ma un utero artificiale? Queste sono alcune delle domande che guidano la ricerca clinica di chi lavora nell’area della maternità e della genitorialità. Nella mia attività clinica istituzionale, condotta in uno dei principali centri nascita di Roma in un ambulatorio di psicologia dedicato alle famiglie, ho la possibilità di incontrare ogni anno centinaia di famiglie con bambini da 0 a 5 anni. In particolare mi occupo dell’osservazione dello sviluppo di bambini gravemente pretermine, nati prima della 32° settimana di gestazione (settimo mese). Durante il primo colloquio con la coppia genitoriale, che avviene quando il neonato ha circa 6 mesi di vita, chiedo alle coppie di raccontare le loro storie, il loro vissuto a partire dal concepimento, al- la gravidanza, fino alla nascita e al primo incontro con il neonato, che generalmente avviene nel reparto di Terapia Intensiva Neontale.  Nel corso degli ultimi dieci anni ho potuto così assistere direttamente al cambiamento della genitorialità, all’istituirsi di nuove forme che caratterizzano i legami parentali: mi riferisco in particolare a come la procreazione medicalmente assistita (PMA) abbia cambiato e stia cambiando i processi che portano alla costruzione della genitorialità e al legame con il neo-nato.  La maggioranza dei genitori di neonati prematuri che incontro, per avere un figlio, sono dovuti ricorrere alla procreazione assistita. La  relazione tra procreazione assistita e prematurità è legata a motivi strettamente biologici, età avanzata dei genitori, gravidanze gemellari ma non solo.  A livello psichico il vissuto di molte coppie rispetto al concepimento, alla gravidanza e alla nascita porta il segno indelebile della medicalizzazione. Come diceva Marie Magdaleine Chatel (1995), una psicoanalista francese, nei primi anni novanta, quando in Francia cominciava a diffondersi la PMA: “è diventato possibile fare un bambino fuori dal sesso, fuori dal corpo, sfidando le leggi del desiderio e del sesso, fare il bambino allucinato, il bambino impossibile, in tutta legittimità”.  Le storie delle donne che raccontano dell’esperienza della PMA sono tutte simili ed uniche allo stesso tempo, sono sempre segnate dal dolore, dal lutto di dover accettare il limite biologico del- l’infertilità; sono marchiate dalla “violenza” dell’intrusione del corpo, trattato non con l’amore e il desiderio che permettono di integrare mente e corpo, ma come oggetto da scandagliare, analizzare, da medicalizzare, da frammentare. I termini tecnici utilizzati nella PMA entrano a far parte del linguaggio comune di donne e uomini che parlano così di: stimolazioni ormonali, prelievi ovocitari e degli spermatozoi,  transfer embrionario (trasferimento dell’embrione in utero), beta positive o negative. A volte sentir parlare questi genitori in maniera apparentemente asettica delle procedure del laboratorio di PMA, serve a coprire il fatto che queste procedure abbiano avuto come campo di azione, come scenario, il proprio corpo, l’intimità di individui e di coppia che viene pesantemente intrusa. Molte coppie riferiscono di aver avuto la percezione di essere entrate in una specie di tunnel; un buco nero in cui avviene una dissociazione tra mente e corpo, necessaria per poter tollerare tutto questo processo. Jaques Testart (1990), biologo francese tra i primi a realizzare una fecondazione in vitro, parla in maniera critica della “bottega dei bambini”, di come questa eserciti un fascino potente, in grado di annebbiare la vista sulle controindicazioni, sulle difficoltà, sui costi (psichici e materiali), sulla sofferenza, sulla modesta percentuale di successi e sugli effetti deleteri di queste pratiche che possono ricadere sulle madri e sui bambini. Io aggiungerei sulle coppie, che spesso entrano in crisi e/o si separano quando non riescono ad integrare la complessità di questi vissuti.  La “bottega dei bambini” richiede un accordo collusivo tra il medico e la donna: è la donna che chiede al medico di soddisfare un desiderio che mette in gioco il proprio corpo come procreatrice, la propria funzione “femminile”. Dalla letteratura scientifica emerge come la maggior parte delle infertilità siano “sine causa” o idiopatiche, ovvero senza cause biologiche accertate. Nel contesto della PMA, alla medicina viene quindi chiesto di aggirare tecnicamente gli ostacoli, reali o presunti tali, che impediscono l’incontro tra gameti maschili e femminili e non di curare una malattia, come da mandato fondante la scienza medica fin dai tempi di Ippocrate.  A livello psichico il percorso di PMA, che in alcuni casi può durare anche diversi anni, attiva meccanismi primitivi sia nell’individuo che nella coppia: negazione, scissione, proiezione, etc. Attualmente, nonostante la legislazione preveda un supporto psicologico per le coppie che si sottopongono alla PMA, il numero delle coppie che accede ai colloqui psicologici durante il percorso resta molto esiguo, sia nei centri privati che nei pochi centri pubblici. La capacità generativa è il risultato di una complessa integrazione tra psiche e soma ciò è tanto più evidente per quelle coppie che dopo anni di faticosi ed infruttuosi tentativi di PMA, in lista di attesa per l’adozione, nel frattempo sono riuscite a concepire naturalmente. L’intreccio tra il desiderio della madre e del padre, a livello conscio e inconscio, deve incontrare la capacità del corpo di accogliere, di tenere e di far evolvere una nuova vita.  Fino a qualche anno fa la fecondazione eterologa era una possibilità che interrogava a livello etico e legislativo l’opinione pubblica. Oggi è una realtà significativa a cui ricorre un numero sempre crescente di coppie. Da qui la molteplicità di interrogativi riguardanti queste nuove forme di genitorialità, in cui il legame biologico non è più alla base della filiazione,  per cui si aprono numerosi scenari sui possibili legami che possono essere costruiti a livello intra e inter-psichico.  Quando si parla di fecondazione eterologa nella maggioranza dei casi si parla di ovodonazione, meno frequenti sono i casi di donazione di seme-spermatozoi. Questo elemento concreto mi porta a riflettere su quanto la maternità, ontologicamente attraversata dall’ambivalenza desiderio-paura dell’altro, dell’estraneo dentro di sé, nel caso della fecondazione eterologa sia segnata in maniera ancor più rilevante dalla complessità del processo di ri-conoscimento, di integrazione (o non-integrazione)  di  parti scisse, proiettate e forcluse che investono la madre e il bambino nel processo di identificazione. Mi riferisco in particolare a quelle madri che dopo aver desiderato per anni l’arrivo di un figlio, ormai ben oltre i quarant’anni,  grazie all’ovodonazione, arrivano ad avere anche due o tre gemelli. La gemellarità certamente amplifica tale fenomeno,  producendo come un effetto di diffrazione di tutti gli aspetti proiettivi ed indentificatori. Quali fantasie o fantasmi si possano attivare a livello intrapsichico, interpsichico e transgenerazionale in seguito ad una fecondazione eterologa? Quel bambino o quei bambini che posto occupano nella psiche della madre e del padre?  La fecondazione eterologa spesso assume la dimensione del segreto, quando la coppia sceglie di non parlarne con i familiari. Sappiamo che i segreti legati alla nascita (figli illegittimi, morti, adottati), costituiscono nella storia familiare elementi scissi e “forclusi”, che possono portare ad identificazioni alienanti (Faimberg, 2006), ovvero alla difficoltà della persona di soggettivarsi, di liberarsi delle identificazioni aliene. Il segreto legato all’estraneità biologica del figlio come può lavorare nella costruzione dei legami coniugali, genitori-figli, nella famiglia allargata? In quest’ottica anche la nascita prematura in seguito ad una PMA assume nuovi significati, per molte donne che hanno vissuto il concepimento non come atto d’amore e di desiderio, ma come momento di “dissociazione necessaria” tra mente e corpo, il feto diventa l’oggetto interno da osservare, controllare, misurare, sempre in una condizione sospesa in cui si teme di perdere tutto da un momento all’altro. Sono gravidanze cosiddette “preziose”, perché è stato pagato un prezzo molto alto, sotto tutti i punti di vista, ma spesso queste donne continuano a delegare al terzo, fuori dal corpo, che in questi casi è il medico, e non il compagno-marito come sarebbe naturale, il compito di presentargli il bambino, attraverso le ecografie, i controlli medici. Lo spazio della fantasia, del desiderio, del bambino immaginato, ne risulta spesso coartato. Quasi che anche la gravidanza fosse parte delle procedure mediche. Molte donne che hanno partorito prematuramente raccontano di non aver sentito, sognato, immaginato il bambino prima che nascesse, “per paura di affezionarsi troppo al pensiero”, come mi disse una volta una madre.  In questi casi la nascita prematura viene consciamente o inconsciamente desiderata per poter incontrare il bambino reale, l’unico che nelle fantasie di alcune donne può farle sentire madri, in quanto il concepimento e la gravidanza sono stati vissuti come procedure mediche che “hanno subito”, non come prime fasi preparatorie all’incontro.  La preoccupazione materna primaria, che secondo Winnicott (1958), caratterizza la condizione psichica della donna durante la gestazione, appare così come congelata. La negazione e l’onnipotenza a volte caratterizzano i racconti  di donne che riferiscono di non essersi sentite incinte, perché il tempo è stato troppo breve, “la pancia cominciava appena a vedersi quando hanno partorito”. Purtroppo molto spesso l’incontro con i bambino prematuro, tutt’altro che ideale, per il suo aspetto di essere fragile e sofferente “gettato nel mondo”, come direbbe Heidegger (1927), non facilita quel processo di investimento narcisistico necessario, secondo Freud (1914),  per la costruzione di un legame con il nuovo nato.     Il percorso di queste maternità appaiono segnati spesso dall’impronta del trauma: prima, durante, dopo la nascita.Il bambino prematuro per sopravvivere è legato alle macchine: respiratore, saturimetro, incubatrice. Molto spesso osservando questi bambini nel corso dello sviluppo, in particolari quelli nati con un’età gestazionale ed un peso alla nascita molto bassi, mi sono chiesta quali tracce rimangono a livello sensoriale e corporeo di questa esperienza meccanica primitiva. Mi sembra di rintracciare, osservando l’impenetrabilità emotiva di questi bambini, che a volte fin da piccolissimi assumono come una corazza muscolare di autosufficienza, di pseudo-autonomia, le tracce di questa fase precocissima di organizzazione protomentale meccanica, fuori dal corpo materno.Qualche mese fa ha destato molta curiosità la notizia di un esperimento avvenuto negli Stati Uniti, dove grazie ad una cosiddetta “bio-bag”, un utero artificiale, è stato possibile far crescere e sopravvivere un agnellino di 23 settimane di età gestazionale. Nelle foto pubblicate si vede una sacca di plastica piena di liquido collegata a dei tubi e dei monitor, che nel confronto prima e dopo, ha permesso al piccolissimo feto di potersi alimentare e di poter respirare fino ad assumere le dimensioni e le sembianze riconoscibili di un agnello.  Nella mia mente subito ho associato queste foto ai film di fantascienza, della fine del secolo scorso, in cui si immaginava una gestazione artificiale all’interno delle macchine di una nuova specie “umanoide”. Il commento all’articolo anticipava la possibilità di ripetere questo esperimento tra pochi anni su bambini nati gravemente prematuri. Sul piano della ricerca scientifica e della sopravvivenza di questi bambini è una scoperta incredibile, dal punto di vista psichico si pongono con ancor maggiore urgenza i seguenti interrogativi: che cosa nutre il feto a livello psichico durante la gestazione? Come i pensieri, le fantasie, i sogni, le sensazioni, le emozioni, il piacere e il dispiacere della madre passano al bambino durante la vita fetale? Frequentando come psicologa la Terapia Intensiva Neonatale e  osservando i piccolissimi neonati adagiati sul seno della madre durante la marsupio-terapia mi è capitato molto spesso di pensare: finalmente quel povero esserino può ritrovare qualcosa di piacevole, di conosciuto, può sentirsi a casa, non come nella scatoletta di plastica che gli permette solo di respirare e di alimentarsi.  Nella “bio-bag”, nell’utero artificiale, quali sensazioni, elementi proto-mentali di piacere e dispiacere arriveranno a quel piccolissimo feto? Come contribuiranno a costruire e a modellare i suoi vissuti, le sue emozioni, il suo inconscio?Il lavoro degli operatori (medici, infermieri, psicologi, etc.) che operano nell’ambito perinatale richiede una specifica formazione che permetta di accogliere,  ascoltare, dare parola alle emozioni di madri, padri e bambini nelle prime delicatissime fasi della vita. La psicoanalisi è chiamata a svolgere un ruolo importante nella ricerca e nella clinica, in quanto interprete del desiderio, che va colto, decodificato, interpretato, per poter costruire un dialogo profondo con l’Altro dentro di Sé che permetta una reale integrazione tra mente e corpo. Parafrasando il poeta potremmo dire quindi: “Inizia a vivere veramente solo chi viene sognato”.