Dossier

Ana Juraga-Elena Lipari. Ecologia globale per la sopravvivenza: cibo e culture indigene

18/04/19

(Si ringraziano  Jessica Thomas -IFAD- e Antonella Cordone)

Ana Emilia Juraga, psicoterapeuta, psicoanalista.  Membro associato della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association.  Specializzata in Psicosomatica Psicoanalitica.  Già docente in Psico-Oncologia dell’Età Evolutiva.

Elena Lipari, psicoterapeuta, psicoanalista.  Membro associato della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association.  Analista esperta in bambini e adolescenti.  Diplomata N.B.A.S. preso la Harvad Medical School. 

Ana Emilia Juraga – Elena Lipari

Ecologia globale per la sopravvivenza:  cibo e culture indigene

Per occuparci del tema “cibo” in senso globale, abbiamo incontrato e raccolto le opinioni di alcuni responsabili delle politiche agricolo alimentari a livello internazionale.

Il rapporto tra il cibo e le condizioni di vita degli uomini è stato oggetto della riflessione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach,  già nel 1862, nella sua opera “ Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia”, a partire da richiami etico-politici sostiene la necessità di risolvere gli urgenti problemi della sua epoca concernenti la sussistenza umana;  “La fame e la sete abbattono non solo il vigore fisico ma anche quello spirituale e morale dell’uomo, lo privano della sua umanità, della sua intelligenza e della conoscenza.”.  Questo pensatore parte dal presupposto che psiche e soma siano una unità inscindibile e questa unità si esprime proprio nell’alimentazione: “L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento.”

Se Feuerbach si preoccupava di migliorare le condizioni di vita dei popoli, oggi ci troviamo a dover salvaguardare anche la vita del nostro pianeta e in conseguenza la vita della umanità e questo ci porta a riconsiderare il rapporto con la natura, il ritorno ad una sana agricoltura, rispettosa della terra come le popolazioni indigene ci insegnano.

Abbiamo contattato l’IFAD (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), che come la FAO (Organizzazione delle Nazione Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e il WFP (World Food Programm), si occupa di sviluppare politiche di intervento per tentare di risolvere il problema della fame nel mondo.

La dottoressa Jessica Thomas (Communication Associate – Communication Division – External Relations & Governance Department)  e la dottoressa Antonella Cordone (Senior Technical Specialist Nutrition – Environment. Climate. Gender and Social Inclusion Division – Strategy and Knowledge Department), che sono state  nostro prezioso riferimento, ci hanno invitato a partecipare al quarto Forum internazionale dei popoli indigeni ospitato dall’ IFAD.

Nella metà di febbraio si sono svolti gli incontri tra le diverse comunità dei popoli indigeni del mondo dall’America Latina all’Africa, dalle Filippine alla Tanzania, Tunisia, Bangladesh e tantissimi altri paesi. Nell’imponente cornice del moderno palazzo che ospita gli uffici dell’ IFAD, i marmi e le eleganti strutture supportano enormi immagini a colori vivaci in cui persone, nei loro costumi tradizionali  e con volti sorridenti, offrono cibi e prodotti delle loro terre.

Questo Forum è stato istituito nel 2011 come una piattaforma di dialogo permanente tra i rappresentanti dei popoli indigeni, l’IFAD e i governi.  Quest’anno il Forum si è concentrato sulla promozione e l’utilizzo delle conoscenze tradizionali e specifiche delle popolazioni indigene per permettere di sviluppare resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici e per arginare la pressione della globalizzazione.

In particolare:

– rafforzare il ruolo dei popoli indigeni quali custodi della maggior parte della biodiversità del pianeta.

– incrementare gli investimenti e supportare le comunità e le organizzazioni indigene, concentrandosi soprattutto sulle conoscenze delle donne e sulla trasmissione di esse alle nuove generazioni.

– supportare i popoli indigeni nel mettere in sicurezza le loro terre, i territori e le risorse, attraverso un lavoro di mappatura e difesa.

L’incontro con la realtà dei popoli indigeni, dei progetti sostenuti dall’Ifad, e della portata dei cambiamenti climatici, per noi che ci occupiamo soprattutto della realtà interna, è stato una esperienza molto rilevante, riproponendo in modo fecondo la dialettica e la complementarietà tra natura e cultura, tra uomo e natura, come tra mente e corpo.

In questo momento storico, il cibo è massivamente presente, in tutti i media, ma nel suo aspetto più di “consumo”, e cioè puntando su una gratificazione superficiale ed immediata, ma lontana dai valori più autentici e profondi.  Focale è l’importanza del cibo nell’evoluzione umana, collegato allo sviluppo intellettivo ed alla nascita del simbolismo. Il cibo, essendo alla base della vita, è portatore di aspetti simbolici, veicolo e parte costituente della identità di ogni popolo.

Il cibo rappresenta quindi, in questo ambito, una occasione di recupero di questi valori basilari, nonché di trasformazione e salvaguardia dei sopra citati aspetti simbolici ed identitari.  I popoli indigeni con le loro tecniche di coltivazione e cura della terra, hanno garantito la propria sopravvivenza. Ora, dopo secoli di soprusi, le società occidentali si trovano nel paradosso di  sollecitare questi popoli prima disprezzati ad attivarsi nel salvaguardare la vita del nostro pianeta.  I popoli indigeni hanno infatti migliaia di anni di esperienza nella raccolta ed applicazione delle conoscenze sul loro ambiente, e questo permette loro una migliore gestione delle variabilità naturali.  Le conoscenze dei popoli indigeni potrebbero dunque offrire fondamentali informazioni per complementare la scienza e le osservazioni ambientali convenzionali. Ciò che rischia di essere imprevedibile ad ogni conoscenza è la minaccia creata dai cambiamenti climatici estremi dovuti alle attività umane, come ad esempio l’inquietante scioglimento dei ghiacci artici.

In sintesi il Forum ha sottolineato l’importanza del massimo coinvolgimento delle popolazioni indigene nei progetti per incentivarne la partecipazione, e quindi di fornire loro le informazioni necessarie per potere accedere ai finanziamenti offerti dall’IFAD. Parallelamente grande spazio è stato dato al rispetto delle caratteristiche culturali dei popoli indigeni, in particolare alla loro visione olistica della natura e della vita.

Tra gli altri, abbiamo avuto la possibilità di parlare direttamente con Dali Nolasco Cruz, rappresentante dei popoli Nahua di Tlaola, Puebla. Dali è, tra l’altro, un attivo membro dello Slow Food Mexico per la difesa e la promozione della biodiversità, come il progetto di salvaguardia del Chili Serrano cui Dali partecipa in prima persona.  Entusiasta ci racconta della sua scelta di tornare a lavorare nella sua terra dopo gli studi universitari, trasmettendo alla sua comunità l’orgoglio per le proprie tradizioni, e motivandola ad ottenere i permessi necessari a portare avanti questi progetti.  Progetti che vengono più facilmente accettati e promossi dalle donne; questo comporta un cambiamento sociale e familiare in queste comunità  dove le tradizioni sono molto forti e difficili da cambiare. Dali ci ha spiegato che per accedere ai finanziamenti spesso le terre sono richieste a garanzia, ma poche sono le donne proprietarie perché le terre sono ereditate in linea maschile. Sarebbe dunque di estrema importanza incrementare la partecipazione degli uomini e dei giovani a questi progetti, soprattutto in aree dove, come in questa, gli uomini tendono ad emigrare.  Nella sua esperienza è stato fondamentale ricevere finanziamenti a fondo perduto.

I popoli indigeni rappresentano il 5% della popolazione mondiale, ma raggiungono il 15% dei poveri del pianeta; tra i principali problemi che debbono affrontare queste comunità dobbiamo considerare non solo la povertà, la poca scolarizzazione, e le difficoltà nell’accesso ai servizi di salute pubblica, ma anche le difficoltà nell’acceso ai crediti e all’impiego, nonché la limitata partecipazione politica; questioni che si incrementano circolarmente se questa sequenza non viene interrotta.

In questa ottica investire nella agricoltura tradizionale si è rivelata essere la migliore soluzione possibile, sia nei progetti che riguardano globalmente il nostro pianeta che in quelli  rivolti a singole realtà nazionali.

Non possiamo concludere senza ringraziare nuovamente la Dottoressa Jessica Thomas e la Dottoressa Antonella Cordone per la loro gentilezza, disponibilità, attenzione e per la preziosa opportunità che ci hanno offerto.