Dossier

Andreina Tantini: la relazione neonatale attraverso l’allattamento e le sue rappresentazioni nel tempo

17/04/19

Andreina Tantini, Psicologa Psicoanalista Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e International Psychoanalytical Association

Andreina Tantini

Allattamento, svezzamento, il primo cibo e le sue rappresentazioni

Il latte della mamma, primo cibo e primo nutrimento, ma soprattutto la prima forma di comunicazione su cui, come insegna Winnicott, si costruiranno le successive esperienze di comunicazione e di relazione.

Questo primo incontro rimane il modello a cui tendere e a cui tornare con desiderio e con nostalgia nel corso della vita, un modello che nutrirà la nostra vita di relazione e la capacità di rapportarsi al mondo esterno.

Il latte infatti è cibo per il corpo, ma anche per la mente che, se ben nutrita, potrà sviluppare pensiero e conoscenza e potrà rivolgersi al mondo esterno con interesse e curiosità.

Proprio per la sua ricchezza e per le sue potenzialità questo primo nutrimento e questo primo incontro tra la madre e il bambino sono temi tra i più rappresentati nella pittura dalle cosiddette “Madonne del latte”.

Nelle nostre pinacoteche, nelle chiese, nei libri di storia dell’arte troviamo Madonne che allattano a descrivere questo evento unico ed esclusivo della vita del bambino e della vita della madre.

Sono Madonne molto venerate specialmente da chi ha appena partorito proprio perché così vicine all’esperienza di ogni madre e perché descrivono un momento la cui intensità è unica ed eccezionale, in cui tutto il buono e il bello viene offerto al bambino che nutrito ed appagato ripaga succhiando e crescendo, in uno scambio in cui ognuno dà e ognuno restituisce.

E’ la reciprocità estetica di cui parla Donald Meltzer, una reciprocità a fondamento della concezione del bello e del buono; ognuno vede nell’altro tutto il bello e tutto il buono, quel bello e quel buono che poi il bambino porterà sempre con sé, che lo accompagnerà per tutta la vita, da cui sarà sempre attratto e a cui la mente tornerà con nostalgia; un bello che sarà anche fonte d’angoscia nella paura di poterlo perdere e di non poterlo più ritrovare.

Questo primo, originario incontro, che appunto Meltzer chiama “relazione estetica” è ben rappresentato dalla “Madonna del latte” di Andrea Solario oggi conservata al Louvre come “La Vierge  ou coussin vert”.

Andrea Solario, pittore lombardo, nel 1507, durante un suo soggiorno in Francia, dipinge la sua “Madonna del Latte”, una Madonna speciale per la reciprocità degli sguardi, perché la mamma con espressione affettuosa guarda solamente il suo bambino e il bambino guarda solamente la madre.

Nella scena, che si svolge davanti a un paesaggio, a destra forse il castello di Goillon, a sinistra la Senna, troviamo rappresentata la gentile umanità della madre che offre il suo latte e la tenerezza del bambino che, appoggiato sul bel cuscino verde, con la mani stringe il suo piedino e con lo sguardo è appeso allo sguardo della madre.

Una rappresentazione speciale proprio per la particolarità degli sguardi, l’intensità dello sguardo della madre e l’incanto del figlio, come se il mondo, la sua bellezza, la sua bontà, si esaurissero e si risolvessero in questi sguardi e nello spazio che li contiene e nel latte che di questo spazio è nutrimento.

Accanto a questa rappresentazione abbiamo altre rappresentazioni in cui la relazione evolve e si trasforma.

Sono “Madonne del latte” in cui il bambino, più nutrito e meglio sostenuto dal cibo, lascia lo sguardo della mamma e si volge verso il mondo; la relazione si modifica, la mamma tiene e trattiene leggermente il bambino che si gira e guarda altrove.

E’ la scoperta del “non me” mentre si sta costruendo uno spazio interno, un “me”, in cui gli oggetti possono essere collocati e conservati.

Abbiamo così “La Madonna del latte” di Ambrogio Lorenzetti conservata nel Museo Diocesano di Arte Sacra di Siena e la “Madonna Litta” di Leonardo a San Pietroburgo nel Museo dell’Ermitage.

Nel Lorenzetti troviamo il gesto intimo e naturale di una madre che allatta e allo stesso tempo, con le sue mani, sorregge e contiene il suo bambino; uno sguardo attento, pensoso, forse un po’ triste.
In Leonardo la tenerezza dello sguardo della mamma, le sue labbra sfiorate da un leggero e dolce sorriso, come dolci sono i due paesaggi alle spalle, finestre sul mondo e sul bello.

A Genova, a Palazzo Rosso, una delle sette differenti versioni della “Madonna della pappa” del pittore olandese Gerard David.

Nel quadro è rappresentata una mamma che dà da mangiare al suo bambino ormai svezzato; un ambiente domestico semplice e sereno; il pane, la ciotola con la minestrina, la mela, il coltello, il libro di preghiere, il vaso di fiori, la finestra aperta e la vista di un bel paesaggio fiammingo.

Il bambino, seduto sulle ginocchia della madre, ha in mano un cucchiaio, un cucchiaio per giocare, ma anche per rinnovare il gesto della madre e per apprenderlo.

Quel bimbo che succhiando il latte guardava solamente la madre e che poi volge il suo sguardo al mondo ora trova nel cibo la possibilità di identificarsi ed identificandosi di apprendere e di acquisire nuove competenze.

Sempre con Winnicott possiamo dire che “nel cibo” il bambino può sperimentare il passaggio dalla “dipendenza assoluta” alla “dipendenza relativa”, da quello sguardo unicamente rivolto alla madre del primo allattamento, a uno sguardo sul mondo per poterlo conoscere e da cui poter apprendere.

Sono queste le rappresentazioni del 400, del 500, madri la cui maternità non ha incontrato i conflitti e le limitazioni della condizione femminile attuale, di madri divise tra il lavoro, il ménage domestico e un bambino da accudire e a cui dedicarsi; sono le “Madonne del latte”, madri forse idealizzate, madri che vivono in ambienti sereni, madri prese solo dal loro compito, cui possono dedicarsi con calma e con tranquillità; un modello lontano, ma che si rinnova ogni volta che si crea quel piccolo spazio dell’allattamento, con il suo nutrimento e con quella reciprocità degli sguardi che si cercano e si riconoscono.

A questo proposito può essere utile una rappresentazione contemporanea, la “Madonna del latte” dell’artista genovese Vanessa Beecroft.

L’artista ritrae se stessa mentre sta allattando due piccoli gemelli neri.

A differenza delle altre maternità qui abbiamo un ambiente nudo, spoglio, freddo e una sottile crepa sul muro come ad indicare la solitudine e a fragilità della condizione della donna oggi.

Un ambiente vuoto ove l’artista si ritrae con la sua carnagione bianchissima, con i lunghi capelli rossi e con indosso un abito bianco, bianco ma con l’orlo bruciato per ricordare che anche il bianco ha i suoi buchi e le sue macchie.

Tuttavia, anche in questa moderna “Madonna del latte” troviamo una mamma con lo sguardo rivolto al bambino, una mamma che allatta con serenità e con affetto e la Beecroft vuol aggiungere qualcosa in più perché qui abbiamo una mamma che allatta due bimbi neri, perché in quel cibo, in quel latte è la possibilità di incontro e di integrazione tra mondi e culture diverse che così possono convergere e sostenersi.

Bibliografia

  1. Melzer, La comprensione della bellezza, Loescher Editore, Torino, 1981
  2. Melzer, L’oggetto estetico (1984), Quaderni di psicoterapia infantile, n. 14, Borla, Roma 1985
    D. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, 1976