Dossier

Interventi sociali dei servizi di consultazione della Società Psicoanalitica Italiana

25/04/13

Giuseppe Pellizzari

Da molto, troppo, tempo esiste il mito della psicoanalisi come “scienza borghese”. Vi sono certo ragioni storiche che possono giustificare una simile immagine della psicoanalisi. In fondo, nata e sviluppatasi a partire dall’inizio del secolo scorso, è contemporanea al secolo della modernità dominato dall’ascesa e dalla crisi della classe borghese occidentale. La psicoanalisi è intrinsecamente legata al destino di questa classe sociale e oggi, in una situazione storica “postmoderna” che assiste al declino di quest’ultima, economico e culturale, si potrebbe dire antropologico, è costretta a ripensarsi, a ridefinirsi, sia nei suoi fondamenti teorici, sia, soprattutto, nella sua pratica.

I soggetti che rappresentano il campo esperienziale dell’analisi sono mutati nel corso del tempo in modo sostanziale. Ciò vale per la fenomenologia patologica: dalle nevrosi isteriche e ossessive si è passati alle problematiche narcisistiche e ai cosiddetti “disturbi di personalità”. Ciò vale per l’estensione clinica della cura psicoanalitica: da cura per soli adulti a cura che comprende anche bambini e adolescenti. Ma ciò vale anche per l’estrazione sociale dei pazienti. Sempre di più la domanda di cura si è estesa ad una popolazione sempre meno caratterizzata, come censo e come cultura, dall’appartenenza alla borghesia. In particolare alla luce della profonda crisi economica che stiamo attraversando, che vede la progressiva scomparsa del ceto medio e la proletarizzazione di ampi settori della società. Come appare ormai evidente a tutti non si tratta di una contingenza passeggera, ma di una crisi che è destinata ad avere ripercussioni profonde e irreversibili sulle nostre abitudini di vita e, di conseguenza, sul mondo interno delle persone. La Vienna borghese di Freud è sempre più lontana.

Per tanti versi tuttavia, paradossalmente, ci sono al contrario insospettati elementi di somiglianza. L’Europa d’inizio novecento, dopo un momento di trionfalismo maniacale, si era immersa in una profonda crisi economica e culturale che, come sappiamo, esiterà nelle guerre mondiali e nell’avvento del totalitarismo nazista proprio là dove vigeva la cultura borghese più illuminata: la Germania di Goethe e la Vienna di Freud. Il primo Istituto di Psicoanalisi si costituì a Berlino negli anni venti in un clima di grave emergenza economico-sociale, che richiama in modo impressionante la nostra attuale condizione. Ciò che lo ispirava e che lo ha animato durante la sua decennale esperienza, fu la necessità di aprire il sapere psicoanalitico a coloro che non potevano permettersi una cura costosa. Freud stesso al V Congresso Internazionale a Budapest sosteneva la necessità che “la società si desti e rammenti agli uomini che il povero ha diritto all’assistenza psicologica né più né meno come ha diritto già ora all’intervento chirurgico che gli salverà la vita…”. Il Policlinico di Berlino, fondato da Max Eitingon, offriva trattamenti gratuiti a coloro che non avevano disponibilità finanziaria. Erano i Candidati analisti in formazione che prestavano la loro opera gratuitamente e in cambio ricevevano l’attività didattica e formativa da parte degli psicoanalisti dell’Istituto.

L’esperienza fu proficua e in costante crescita. Il Nazismo la spazzò via insieme a tutti gli esperimenti di straordinario interesse che caratterizzavano l’epoca della Repubblica di Weimar. Il Centro Milanese di Psicoanalisi “Cesare Musatti”, uno degli 11 Centri della S.P.I. nel territorio italiano, oggi sta cercando di ritrovare queste radici storiche, istituendo un Servizio Clinico ispirato ai medesimi intenti. Nello specifico si tratta di unire tre obiettivi fondamentali: il servizio al territorio, la formazione e la ricerca. Non è una iniziativa mossa soltanto da spirito di solidarietà, ma anche da un desiderio di ricerca nell’aprirsi a nuove forme di disagio e a nuove forme di intervento della pratica psicoanalitica. La crisi che caratterizza il nostro tempo interessa anche la psicoanalisi come disciplina scientifica che non può guardare le cose “dal di fuori”, ma deve assumere l’ attuale “disagio della civiltà” come l’ occasione di un proprio rinnovamento sostanziale. Nel Centro si sono costituiti tre gruppi di analisti che offrono la loro diponibilità a trattamenti con prezzi calmierati o gratuiti: un gruppo che si occupa di adulti, uno di bambini e uno di adolescenti. Il Servizio Clinico indirizza a questi gruppi i casi opportuni, dopo la consultazione. I tre gruppi svolgono un’attività di supervisione e di ricerca per i casi in questione.

Già sono numerosi non solo i trattamenti in atto, ma anche i lavori di ricerca che da questa esperienza nascono spontaneamente. Forse è venuto il tempo nel quale la psicoanalisi comincia ad uscire dal chiuso degli studi dove si svolge il dramma “borghese” dell’analisi, e si dispone ad apprendere dall’esperienza di un dramma più ampio, che ci coinvolge e che ci spinge a pensare in modo nuovo.

 

Bibliografia

Gazzillo F. e Fontana A. (2011). Psicoanalisi in tempo di crisi, Roma, Borla.