Dossier

Gli assassini dell’anima

5/03/13

Amalia Giuffrida: “Nightmare”, inL’abuso. Una realtà bifronte, a cura di S. Latmiral e S. Grimaldi, Quaderni di psicoterapia infantile, n.58, Borla

Sintesi a cura di Maria Grazia Vassallo Torrigiani

 

“Quando la collega in supervisione con me mi parlò per la prima volta del caso di Carla, non potei fare a meno di pensare ad un libro che avevo letto di recente e che mi aveva molto toccato: “Più che una figlia” di Silvana Quadrino (Ed e/o).

La protagonista del romanzo, Mara, una adolescente scontrosa e selvatica fugge di casa non potendo più tollerare l’intimità con il padre adottivo, vissuta all’ombra di una negazione materna senza appello. La consapevolezza di Mara, raggiunta per quei miracoli che a volte l’adolescenza realizza, contrastava con una sorta di “agnosia” terrifica relativa alla gravità della situazione, nella quale invece sembravano immersi i due genitori. Il padre, da una parte, irretito da un affetto assoluto verso di lei, dai toni cupi, offuscati ulteriormente dalla qualità violenta e disperata di un erotismo debordante; e la madre, dall’altra, indaffarata, concreta, e apparentemente poco empatica, spaventata dalla forza di una incandescenza pulsionale verso la propria bambina che preferiva denegare e delegare al compagno. Mara ritorna a pensare e a vivere quando la madre accetta di conoscere, accetta di avvicinarla, assume su di sé una colpa che la piccola bambina aveva fatto propria da sempre. Quando la madre le si rivela infine alleata, spezzando la collusione con chi senza quasi accorgersene era scivolato lentamente verso l’effrazione di un corpo infantile trasformando le carezze affettuose, ogni giorno di più, in lame affilate che ferivano la carne, fino a toccare la mente.”

Con questo racconto della trama di un romanzo, inizia il lavoro di Amalia Giuffrida. Subito dopo, Giuffridaci fa entrare in una stanza d’analisi – riflessa in una stanza di supervisione – dove una trama quasi analoga prende corpo ed emozioni nella storia di una giovane paziente, nelle vicissitudini transferali e controtransferali della coppia analitica, negli snodi critici e nei momenti di impasse e in quelli di trasformazione di un processo analitico che cerca di ricucire le ferite mentali provocate da “carezze” paterne che violano confini, introducendo un eccesso traumatico di eccitazione incontrollabile. In queste situazioni di molestie o abusi consumati in famiglia, nel silenzio complice o nell’incuria dell’altro genitore, ben sappiamo che ciò che viene pesantemente compromessa è in primo luogo la fiducia nell’altro, in quanto gli oggetti che dovrebbero proteggere e soccorrere diventano o pericolosi o inaffidabili. Particolarmente difficile è dunque il compito dell’analista. Come avvicinarsi a chi si difende da ogni relazione che rischia di diventare pericolosamente intima e prossima, quando “l’intimità e la prossimità sono vissute come penetrazioni”? Come trasformare ciò che è avvertito “come intrusione violenta, in un atto nutritivo”? Come aiutare la paziente abusata a trasformare i sensi di colpa legati alla seduzione traumatica, e a “sostituire la dimensione del concreto con la dimensione del fantasmatico”?

Giuffrida sottolinea l’importanza, per l’analista, di un attento ascolto ed elaborazione del proprio controtransfert per districarsi dalle identificazioni proiettive; tatto, e modulazione interpretativa, per avvicinarsi e creare un legame stando però molto attenti a “sedurre senza penetrare, toccare senza entrare”. In sostanza “l’ambiente analitico in parte deve riprodurre l’ambiente originario e lentamente trasformarsi in un contesto meno traumatico. Un po’ alla volta, per permettere al paziente di trovare-creare un oggetto da usare”.