Dossier

La violenza dei codici culturali

5/03/13

Maria Grazia Vassallo Torrigiani 

I codici culturali, religiosi, sociali, comunicativi – a Oriente come ad Occidente – promuovono determinate rappresentazioni del femminile e con strategie più o meno coercitive o seduttive, esplicite o implicite, imprigionano le donne attraverso istanze normative sia esterne che interiorizzate.

Sarah Chralesworth

Figures 1983

Nel vuoto, isolate su uno sfondo netto – monocromo, rosso o nero – si stagliano due figure del desiderio (maschile).

A sinistra un corpo sinuosamente model-lato come richiamo erotico da un abito attillato, corpo però disincarnato, privo di soggetto e identità, che rivela la sostanziale stereotipia degli oggetti erotici della fantasia maschile. Corpo feticcio dunque, così come l’altra figura femminile completamente nascosta e imprigionata in un tessuto/sudario, immobilizzata per qualche perverso rituale che intreccia Eros e Thanatos.

 

 

Enrica Borghi

Fetish Food 1997

Pietanze messe in mostra e disposte con cura, a richiamare sesso, gambe e seni femminili. Pollo con patate e pesche sciroppate: su un letto di croccanti rotonde patatine, invitanti coscette imbracate in tanga ricami oro si offrono spalancate e rossi capezzoli di ribes occhieggiano maliziosi, sgusciando dal pizzo nero, ritti su una morbida aureola di panna. Si tratta di una surreale, grottesca e ironica denuncia del corpo femminile ridotto ad oggetto dell’appetito sessuale maschile, vivanda imbandita con slip trasparenti e calze a rete – tradizionali ingredienti di seduzione nell’immaginario erotico.

 

Sarah Lucas

Chicken knickers 1997

Qui il registro è provocatorio e graffiante, quasi disturbante. Se il gioco linguistico sfrutta con una certa arguzia il doppio senso del termine “pollastrella” (animale da cortile/ragazzina), la resa visiva è decisamente cruda e aggressiva, l’immagine centrata su un oggetto parziale ambiguamente femminile ma con una valenza fallica e castratrice allo stesso tempo.

 

Orlan

Morphing

Il suo lavoro può essere considerato come una denuncia e un rovesciamento degli stereotipi che imprigionano la donna nel culto della bellezza del corpo.

 

Shirin Neshat: tra le contraddizioni dell’Iran contemporaneo, c’è la mancanza di potere delle donne e la sudditanza all’uomo nella vita quotidiana, mentre in situazioni di guerra le stesse donne sono state chiamate a combattere a fianco dei militari maschi, in quel caso riconosciute uguali a loro. In queste immagini, ove la testa e la figura sono coperte dal chador, il volto e le mani – uniche parti del corpo che è concesso mostrare in pubblico –sono diventate anch’esse superfici dove il potere maschile traccia le sue iscrizioni di violenza. In Speechless non è un monile, un orecchino, a ornare il volto che spunta da sotto il chador, bensì uno strumento di morte con cui si invita la donna ad uccidere il nemico come fanno gli uomini, evidenziando una spaccatura, una contraddizione, come nella donna divisa a metà dalla canna del fucile. Nell’altra immagine la mano sulla bocca impone il silenzio, ma le labbra sono socchiuse, come sul punto di ammutolirsi, o di articolare parole vietate

 

Shirin Neshat

Untiteld 1996

 

 

Shirin Neshat

Speechless 1996

 

Shirin Neshat

Rebelliuos Silence 1994