Dossier

Cronistoria di una rivolta. Contro la scomparsa della madre

21/03/16

Le prime a lanciare il sasso sono state le francesi di fronte alle crescenti domande di iscrizione allo stato civile dei bambini nati da madre surrogata in California, Russia, India o altrove. Sylviane Agacinski, voce storica del femminismo francese, impegnata da anni nella lotta contro la maternità surrogata con la sua associazione Corps (Collettivo per il rispetto della persona) e autrice del saggio Corps en miettes («Corpi sbriciolati», Flammarion), spiega la questione così: «Non abbiamo a che fare con gesti individuali motivati dall’altruismo, ma con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini. Inoltre, ordinare un bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto fabbricato e non come una persona umana».

E’ toccato alla socialista Laurence Dumont, vicepresidente del Parlamento francese, il compito di convocare un’assise internazionale lo scorso 2 febbraio all’Assemblée Nationale per affermare “l’ingiustizia di una pratica sociale che lede i diritti fondamentali dell’essere umano”. Presenti associazioni femministe e per la difesa dei diritti umani provenienti da tutto il mondo ma anche medici, giuristi, ricercatori e intellettuali che da tempo studiano la materia. :”Se la dignità dell’essere umano non ha prezzo questo deve essere trattato come una persona e non come una merce” ha spiegato Dumont.
La realtà, purtroppo, va in un’altra direzione. il mercato della Gpa cresce a ritmo esponenziale. E fermarlo per i singoli Stati è molto difficile perché ciò che è vietato sul territorio nazionale è permesso altrove. Non ci sono statistiche o numeri ma secondo alcuni studi il giro d’affari è stato di 4 miliardi di dollari solo nel 2013. L’obiettivo dell’Assise è far sì che la Francia, la Ue e anche il resto del mondo adottino delle norme che portino all’abolizione universale della gestazione per altri. “Noi speriamo che ci sia una presa di coscienza – ha dichiarato Agacinski al settimanale Ouest France – La Gpa è una violenza specifica sulle donne. Non possiamo disporre del corpo altrui come un oggetto o un utensile. E’ stupefacente che in Francia l’idea di affittare il corpo di una donna giorno e notte per nove mesi, compresi gravidanza e parto, non scateni l’indignazione generale”.
Se la Francia batte un colpo la Svezia risponde chiaro e forte. A fine febbraio è stato presentato in Parlamento un rapporto governativo che “suggerisce di vietare tutte le pratiche di surrogacy, sia altruistica che commerciale, e di approvare misure per impedire ai cittadini svedesi di andare all’estero per avere un bambino con la Gpa (Gestazione per Altri)”. Un risultato ottenuto grazie al lavoro della «Sverigeskvinnolobb», la potente lobby delle donne svedesi, tra cui spicca la giornalista Kajsa Ekis Ekman, autrice «Being and Being Bought: Prostitution, Surrogacy and the Split Self» («Essere ed essere comprate: prostituzione, maternità surrogata e il sé spaccato»). Per lei la gestazione per altri è un fenomeno profondamente patriarcale: “La maternità surrogata mercifica la donna, utilizzandola come se fosse soltanto un utero senza diritti o sentimenti. La patriarchìa da sempre equivale a mettere i diritti dei padri al di sopra di quelli delle madri, e per questo la maternità surrogata è da considerarsi un fenomeno profondamente patriarcale”.

Anche in Italia le femministe, soprattutto quelle della differenza, sono scese in campo. La prima è stata Luisa Muraro, filosofa e fondatrice della Libreria delle donne di Milano, «non esiste un diritto di avere figli a tutti i costi – ha detto – eppure ce lo vogliono far credere: finito il tempo delle grandi aggregazioni e dei partiti, è un nuovo modo di fare politica cercando consensi. È la strada attuale per lo sfruttamento del corpo delle donne». Poi il 4 dicembre le donne di Senonoraquando libere ha lanciato un appello contro l’utero in affitto: ”Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione”. Il testo è stato firmato un mondo vasto che va dal cinema alla letteratura, dal campo universitario a quello delle associazioni per i diritti. Tra questi Stefania Sandrelli, Giovanni Soldati, Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Claudio Amendola, Francesca Neri, Ricky Tognazzi, Simona Izzo, Micaela Ramazzotti, Giuseppe Vacca, Dacia Maraini.
La battaglia per il divieto della maternità surrogata ha segnato un punto a suo favore il 15 marzo quando la Commissione affari sociali del Consiglio d’Europa, cui aderiscono stati come la Russia e l’Ucraina dove il business della surrogacy è florido, ha respinto per un soffio la relazione sulla Gpa (Gestazione per altri) scritta dalla ginecologa transgender e deputata belga Olga de Sutter, contestatissima per conflitto di interessi perché a Gand, in Belgio, dirige un’unità dove la maternità surrogata è già praticata e collabora con una clinica che fa surrogacy in India da tempo nel mirino di Ong e femministe indiane. Fondamentali per la bocciatura della relazione che invitava gli Stati membri a consentire la Gpa altruistica, sono stati gli interventi della deputate Eleonora Cimbro e dalla senatrice Maria Teresa Bertuzzi, entrambe del Pd e rappresentanti della delegazione presso l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. “L’Italia non ritiene – ha detto Bertuzzi – di dover legittimare in Europa una pratica che utilizza il corpo delle donne, violandone i diritti”.
Ma chi sono le madri surrogate? In India, Thailandia e Nepal, che hanno vietato la pratica agli stranieri, sono quasi sempre donne analfabete che non capiscono nemmeno cosa stanno firmando e vivono in condizioni la gravidanza in condizioni disumane: “Non possono partecipare alla vita pubblica per nove mesi, vengono imbottite di cibo, non possono muoversi troppo o vedere la famiglia, non hanno un’assicurazione sanitaria e nessun diritto sul bambino che nasce, se abortiscono spontaneamente non prendono alcun compenso” racconta l’indiana Sheela Saravanan, specialista di questioni legate al genere in Asia del sud. Ma anche negli Stati Uniti, spesso citati ad esempio come uno dei Paesi con la legislazione più avanzata in materia, le donne che si offrono come surrogate sono delle classi meno abbienti. Per legge devono avere avuto altri figli e non essere indigenti, spesso, però, si tratta di persone che, comunque, di quei soldi hanno bisogno per pagare le rate del mutuo o l’università dei figli. E non sempre tutto fila liscio come le agenzie di surrogacy vorrebbero farci credere. Lo scorso 8 ottobre in Idaho Brooke Lee Brown, 34 anni, è morta facendo figli per conto terzi. La donna, che viveva a Burley era una surrogata di quelle che vengono definite seriali: aveva già avuto otto gravidanze, di cui cinque su commissione. Alla fine del 2014 si era concessa solo tre mesi di pausa prima di sottoporsi a un nuovo transfer per conto di una coppia spagnola. Purtroppo a pochi giorni dal parto programmato di due gemelli la sua placenta si è rotta. Per lei e per i suoi bambini non c’è stato nulla da fare. Un altro caso eclatante è quello di Melissa Cook, 47 anni, che il 22 febbraio ha partorito tre gemelli nonostante il genitore committente, un single cinquantenne, avesse chiesto l’aborto di uno dei tre. La donna ora si è rivolta a un tribunale per vedere i bambini.
Sono queste le storie che raramente vengono raccontate negli Stati Uniti dove il business della gestazione per altri aumenta a ritmo esponenziale: più di duemila bambini nati ogni anno, il triplo di dieci anni fa, molti dei quali per coppie straniere, con costi da capogiro: dai 135 mila ai 200 mila dollari. Nelle agenzie e nelle cliniche le surrogate raccontano il loro come un gesto d’amore. Non sempre disinteressato. Mandy Storer, alla seconda gravidanza surrogata e reclutatrice di madri per altri per Growing Generations, si descrive così. «Non mi sono mai sentita sfruttata. I bambini non sono miei ma dei loro genitori. Loro ci mettono gli ingredienti, io sono il forno».

MONICA RICCI SARGENTINI è giornalista del Corriere della Sera