Dossier

La difficile origine

21/03/16

Mi chiedo quanto la mole di informazioni, che in questi giorni confluiscono a volte in modalità evacuativa, sui temi delle unioni civili e sulle famiglie pittorescamente e difensivamente chiamate “arcobaleno”, sull’istituto dell’adozione e sulla maternità surrogata non sovrappongano livelli complessi ma soprattutto slegati tra di loro e quanto questa modalità espulsiva di trattare le cose, confondendone i significati, non danneggi lo spazio per riflettere. 

Non ci può essere libera scelta se c’è un attacco al pensiero.
Nella mia esperienza con la genitorialità adottiva ritengo necessario centrare il focus sull’importanza che riveste la conoscenza dell’Origine. Una volta dissipata la confusione dei messaggi, c’è da chiedersi, senza incappare in posizioni pregiudiziali, quanto l’avvio della maternità surrogata, (utero in affitto), possa disturbare la presa in carico conscia ma soprattutto inconscia della propria Origine.
Lavorare con gruppi di genitori adottivi appartenenti all’associazione”Genitori Si Diventa”(GSD) in “attesa” e in “post”, mi ha indirizzato ancora di più sulla problematicità e complessità della cosa.
Durante questi gruppi emerge la preoccupazione dei genitori adottivi circa l’origine del figlio e molto c’è da lavorare per affrontare derive entusiastiche e difese intrapsichiche.
Origine intesa non solo come “punto dove tutto ha inizio”,ma anche come provenienza territoriale del bambino.
Non è trascurabile infatti, accanto allo stress emotivo e psicologico, la fatica concreta, fisica, che la coppia deve sostenere per affrontare viaggi oltreoceano verso il paese d’origine del bambino; spesso sono luoghi che neanche sanno pronunciare e che a stento riescono a rintracciare nella carta geografica, sono paesini dell’entroterra siberiano, cinese ed ucraino. Partono per metà fiduciosi e per metà incoscienti, due, tre volte l’anno, rimangono in questi luoghi in case prese in affitto per più settimane o addirittura mesi, tanti soldi da spendere, tanti documenti da produrre. E’ una “gestazione”non tranquilla, che procede a strappi come una gravidanza segnata da ripetute minacce d’aborto. Fino all’ultimo momento può accadere un inghippo burocratico che fa saltare l’adozione. Si sentono sicuri solo quando il portellone dell’aereo si chiude e loro, la “nuova famiglia” adottiva, ha allacciato le cinture.
E davvero questa immagine è metaforicamente azzeccata rispetto al percorso che da lì in avanti dovranno affrontare. Decolli e atterraggi più o meno morbidi, turbolenze, “vuoti”d’aria, splendide visioni dall’alto e paurose traversate in mezzo alla nuvolaglia.
I genitori adottivi si muovono, fino all’ultimo, nel territorio dell’incertezza e della fiducia negli enti che si occupano del cosiddetto “abbinamento” con un bimbo sconosciuto che diventerà il loro figlio.

Cosa sapere di lui?…cosa dire a lui?
Alcuni genitori adottivi preferiscono non conoscere l’Origine del bambino adottato. Non è raro che succeda che conservino il dossier consegnatogli dagli istituti dentro un cassetto senza leggerlo o leggendolo solo dopo molti anni, quando il bambino è già divenuto grande e forse la loro paura del suo segreto si è rimpicciolita. Paradossalmente e di contro, altri dicono di preferire l’adozione internazionale perché ci sono meno informazioni sul passato del loro futuro figlio. Non si conoscono i veri genitori, è diversa la cultura, i luoghi sono lontani, territori-altri, sconosciuti, estranei e stranieri. Invece dà più ansia l’adozione nazionale perché le notizie sono più dettagliate, i fascicoli più grossi e la vicinanza del luogo d’origine del bambino e dei genitori bio è vissuta come una minaccia.
Alcuni genitori reagiscono con la negazione dell’Origine del bambino o la banalizzazione e superficializzazione dei risvolti problematici ad essa legati .
“ Ci hanno detto che il padre biologico è insufficiente mentale e anche la madre lo è, ma solo un pochino(…) Ci hanno detto che il bambino ha disturbi relazionali, ma anche mio cugino li aveva poi gli sono passati.(…) Ci hanno detto che non parla e butta i giocattoli in aria, ma anche mia zia era così e si è sposata lo stesso”.
Queste difese si intrecciano a volte con altre posizioni come l’idealizzazione e l’idoleggiamento
“Che tenero! anche adesso che ha 14 anni si siede sulle mie gambe e vuole il seno(…) E’ tanto affezionato che a 18 anni vuole dormire nel lettone in mezzo a noi”.

E il bambino? Come si pone verso la sua Origine?
La cerca, anche quando non lo dice, la cerca anche quando non sa di cercarla. La cerca nei suoi sogni, nei disegni, nella scelta dei loro colori, nelle fantasie, persino nel cibo.
Una madre adottiva piuttosto accorta, “conquistò” la familiarità con i suoi bimbi adottati, due fratellini russi, quando, per rompere la diffidenza e il sospetto con cui i piccoli interagivano con lei, si fece descrivere cosa mangiavano in istituto. Poi andò al mercato con loro e fece scorta delle verdure che sarebbero servite a cucinare, tutti e tre insieme, una sorta di intruglio sapido. Nonostante la pietanza era, a detta della donna, immangiabile, i piccoli erano felici e finalmente una volta pronto in tavola si riuscì a dialogare guardandosi negli occhi.
Il cibo del proprio paese d’origine, o meglio, il ricordo di quel cibo, inserito e accettato nella nuova realtà, di più, il riconoscimento del proprio cibo ha significato per loro sentirsi ri-conosciuti, o essere conosciuti-come-una-volta, indipendentemente dal gusto della pietanza e dalla qualità di vita che un bambino può sperimentare in un orfanotrofio dell’est o in una casa di occidentali medio-borghesi.

Alcuni bambini cercano la loro Origine su facebook. Già a sei anni un bambino è in grado di smanettare col computer, a otto spesso possiede un profilo fb e inizia a cercare prima i propri fratelli, poi i genitori, la madre in particolare, ma anche i compagni di istituto, persino il personale dell’istituto. E così riescono a rintracciare il loro passato lasciando basiti persino i genitori adottivi più preparati.
Un bambino congolese adottato in Italia riuscì a trovare su fb la sorella con cui viveva in istituto, adottata a sua volta da una coppia negli Stati Uniti. La scoperta fu così bruciante che il piccolo si cancellò dal social e non aprì più il computer per molti mesi.
Il ritrovamento, una volta uscito dall’area fantasmatica e divenuto realtà, aveva turbato il suo equilibrio e scatenato un’ansia disorganizzante. Il contatto possibile con la sorella riattivava in lui il ricordo e il contatto con la sua Origine e con la sua famiglia biologica a cui sentiva di appartenere almeno per una parte.

Sia i bambini che gli adulti, i genitori, tendono in maniera indefettibile verso la ricerca della propria Origine. L’individuo è attratto per lo più dall’“indietro”, come tirato da una specie di forza di gravità. E’ una tendenza non necessariamente regressiva come si potrebbe pensare, piuttosto ha a che fare con la “memoria” di sé, con l’integrazione dei suoi “pezzi”, lavoro questo fisiologico e auspicabile per la funzione della creatività nello sviluppo della personalità; l’”essere liberi di” (M.Parsons).

Una bambina italiana “data”in adozione nazionale all’età di 14 mesi, aveva sviluppato, accanto ad un buon attaccamento verso la madre adottiva, un attaccamento verso la zia paterna. Quando iniziò a dire le prime paroline la nominava ogni piè sospinto, a volte provocando forte fastidio nella madre adottiva. La piccola verosimilmente stava facendo un’operazione mentale raffinata che le permetteva di non lasciare andare la madre biologica. Si trattava di un primo tentativo di raffigurabilità del ritrovamento, dentro di sé, della madre abbandonica che, per qualche motivo, forse un particolare della donna, richiamava quello della giovane zia.
In questo modo, piuttosto che rimpiangere la sua Origine, la bambina sembrava perseguire una continuità, integrando dentro di sé la madre adottiva, presente e reale, con la madre biologica, perduta.
Quando fu più grandina cominciò a domandare a chiunque le venisse a tiro “dov’è la tua mamma? chi è la tua mamma?”. La piccola era impegnata evidentemente a compattare le esperienze emotive che si andavano sviluppando attorno alla sua Origine.
La nascita del pensiero sembra seguire di pari passo non solo la “con-cezione” della propria Origine ma anche la “con- sistenza” di sé, che fa il paio con “sussistenza”, “l’esistere in sé e non in relazione ad altro”(dal vocabolario italiano).

DONATELLA LISCIOTTO è psicoanalista, Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana