Dossier

Sessualità e generazione nell’era delle biotecnologie

21/03/16

Il tema della fecondazione assistita, della riproduzione artificiale, dei suoi sviluppi e delle sue implicazioni psicologiche ed emotive da tempo ormai non è più solo oggetto d’attenzione da parte degli addetti ai lavori o di coloro direttamente coinvolti, ma suscita l’interesse e la curiosità di vaste aree dell’opinione pubblica. Non bisogna certo stupirsene, considerando che l’argomento riguarda una materia – il concepimento, quindi l’origine della vita, la generazione – che coinvolge tutti gli individui, toccandoli in sfere intime per eccellenza, quelle della sessualità e delle corporeità.  In questi giorni abbiamo assistito al dibattito pubblico sulla legge, che deve regolare le unioni civili, all’interno della quale era contenuta la controversa questione dei bambini nati dalla fecondazione surrogata.  Questo passaggio ci pone di fronte alla linea sottile che divide desiderio e diritto e la cui regolazione pone problemi di non poco conto. Fino a che punto il desiderio è anche un diritto?  Se questo è tema del legislatore, quale può essere il contributo della psicoanalisi a una materia così spinosa e complessa? Il patrimonio di esperienze, la nostra specifica prospettiva nell’osservare i fenomeni può rappresentare un’importante chiave di accesso a territori che rimangono ancora in parte inesplorati. In particolare, la nostra disciplina può offrire alcuni argomenti o spunti di riflessione su una duplice linea, quella del legame corpo-mente e quella del problema delle origini.

E’ merito della tradizione psicoanalitica aver messo al centro della sua teorizzazione lo stretto legame tra ordine psichico e somatico e il lavoro continuo che la psiche deve fare in virtù della sua relazione con il corpo. Il riconoscimento del radicamento corporeo dello psichico e dell’operare dell’inconscio hanno segnato una svolta nella cultura novecentesca occidentale, mettendo in discussione il dualismo cartesiano e, insieme a lui, il familiare, il noto,  alterando abitudini e consuetudini condivise. Il corpo  come lo pensiamo dopo Freud non è più il corpo di prima. E proprio il corpo rappresenta il luogo dove gran parte delle trasformazioni che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento e caratterizzano il presente hanno transitato e stanno transitando. All’interno di questo quadro la sessualità, e quindi anche il concepire e il generare che della sessualità sono espressione, rappresenta una sfera particolarmente sensibile del legame mente-corpo e intorno a essa ruotano piani differenti, intrapsichici, interpsichici e intersoggettivi.  

Il panorama che si apre alla luce delle profonde modificazioni introdotte dalle biotecnologie e dai progressi della medicina mettono in gioco il corpo nelle sue espressioni di vita (la sessualità) e di morte (la malattia) e ci confrontano con un’espansione dei limiti e delle possibilità di scelta e di soluzione inimmaginabili fino a pochi decenni fa.

All’interno di questa panoramica la procreazione assistita e i nuovi modi di nascere resi possibili dalle biotecnologie, al cui interno si colloca anche la questione della surrogacy,  rappresentano una questione centrale. L’estensione delle possibilità offerte dalle biotecnologie ha come obiettivo quello di superare i limiti corporei e gli impedimenti alla procreazione. Esse rappresentano una “provocazione” rispetto ai tradizionali confini all’interno dei quali il generare era concepito e alterano il sentimento di identità biologica, così come l’abbiamo conosciuto fin’ora, anche attraverso un’alterazione dei confini personali.

Per entrare più nello specifico della maternità surrogata, quali problemi può porre il ricorso alla gravidanza surrogata? Il nostro contributo non può certo offrire risposte  o entrare nel merito delle scelte – non è il nostro compito (e “le strade del Signore sono infinite”, come ha ricordato Thanopoulos), ma offrire alcuni argomenti per aiutare a cogliere la complessità della questione. Come accennavo prima, concentrerò la mia attenzione su due punti: 1) il problema mente-corpo; 2) la questione dell’origine. 

1) La gravidanza, in qualunque modo possibile si avvii, naturale o assistita che sia, rappresenta il contesto del tutto speciale e irripetibile  dove l’individuo si forma e si sviluppa come unità psicosomatica a partire dall’incontro di una duplice unità psiche-soma (quella della madre e quella del bambino). Queste due unità sono interconnesse e interagiscono in uno scambio continuo che viaggia dal somatico allo psichico e di nuovo al somatico. Nel corso della gravidanza il feto è già parte di una “diade”, investito dal mondo fantasmatico materno e dal contatto corporeo e biochimico,  influenzato a vari livelli dal “dialogo non verbale” (Imbasciati) che si attiva tra madre e feto. Come scriveva alcuni anni fa Carla De Toffoli (2003), nella letteratura scientifica, dalla biologia alle neuroscienze, troviamo conferma  che “l’ambiente uterino in cui il feto si sviluppa attraverso gli scambi placentari ha le qualità della biologia umana, non riducibile a meri fenomeni fisici o biochimici, biologia  psichicamente significante in quanto veicolo di un Io materno inteso (…) primariamente come Io corporeo” (p. 274). La qualità della presenza corporea e psichica della madre durante il momento dell’ “attesa”, la comunicazione reciproca e silenziosa che si avvia tra i due partecipanti a livello fisico e non solo, accanto al mondo fantasmatico che si attiva,  sono i mattoni di questo scambio all’interno dell’ unità psico-somatica madre-feto e che possiamo pensare testimoni di un legame di continuità tra vita intrauterina e extrauterina.

La reciprocità della corrispondenza madre-feto rappresenta la base di quella che Winnicott (1971) definisce l’esperienza di essere nella continuità generazionale. Il livello protomentale rappresenta il primo step per la costruzione del senso di sé, che proseguirà dopo la nascita attraverso l’accudimento e in virtù di quello stato particolare – definito da Winnicott come “preoccupazione materna primaria”- che permette alla coppia madre-neonato di funzionare all’unisono e, attraverso la “rêverie”,  di garantire una sintonizzazione speciale sui bisogni  del bambino. Questo quadro indica un processo che si sviluppa in modo continuo  tra la gravidanza e le fasi iniziali di accudimento e che segna  la costruzione di un legame somato- psichico  che accompagnerà le successive le fasi evolutive.  Che cosa rappresenta una gravidanza portata avanti su richiesta di altri?  E’ difficile immaginare le conseguenze, e se conseguenze ci sono sul nascituro. Quali  possono essere i risvolti traumatici o meno che la rottura e l’interruzione di questa continuità può contenere? Quali possono essere le conseguenze sulle successive fasi della sviluppo? Sono domande, che sorgono naturali, se guardiamo a questa materia tenendo conto di ciò che fino a questo momento abbiamo appreso dal nostro specifico osservatorio, e alle quali è tuttavia molto difficile fornire risposte. Domande che ci sollecitano ad esercitare la nostra “capacità negativa” e a rimanere nel dubbio. Certamente ciò che possiamo osservare  è una rottura, uno scollamento tra il piano della procreazione e generazione  e il piano dell’allevamento e della crescita, mettendo in campo soggetti diversi, in modo però – a mio avviso – completamente diverso dall’adozione.

2) La generazione sganciata dalla sessualità e dalla fecondità ridisegna i confini della persona e della coppia attraverso l’intervento di altre figure, di cui  la maternità surrogata è senz’altro la più estrema. Ciò che prima si configurava come un perimetro definito, che includeva esclusivamente la dimensione intima dei due partner, si presenta ora come qualcosa di mobile, pronto a includere o espellere altre figure.  D’altro canto le soluzioni scelte rispetto ai conflitti relativi alla sterilità avranno effetti le cui risonanze superano i soggetti direttamente interessati, riguardando le generazioni future. L’intervento di un terzo, sia che si tratti di un donatore o di una donatrice, o di un utero “in affitto”, ridefinisce l’aggancio all’origine e le radici dell’identità.

Le pratiche di procreazione assistita, che fanno ricorso all’eterologa così come alla gravidanza surrogata, oltre a offrire soluzioni a problemi che fino a poco tempo fa sembravano irrisolvibili, pongono anche richieste psichicamente sempre più impegnative e problemi sempre più avanzati, oltre che dal punto di vista etico, anche dal punto di vista delle risonanze emotive e  psicologiche profonde. Un tratto distintivo di queste esperienze, e quella della gravidanza surrogata descrive plasticamente il problema, è lo spostamento del baricentro personale in un altrove. L’ altrove è lo strappo sulla fondazione dell’origine, che può rimanere una questione aperta tanto nel bambino che nei genitori e costituirsi come “segreto di famiglia”, al di là delle spiegazioni e delle chiarificazioni date a livello cosciente (Marion, 2015). Perché sono stato generato così?  Quale rapporto c’è tra me e la mamma che mi ha tenuto nella pancia? O peggio: chi è la mamma che mi ha tenuto nella pancia? Dove è adesso?  A chi appartiene quel pezzo di patrimonio genetico che non è dei miei genitori, ma sostanzialmente mi definisce?  E c’è qualcosa in più, che in questo contesto non è possibile approfondire, e che riguarda la scena primaria che è alle nostre spalle, luogo dell’origine di ognuno di noi. In quanto psicoanalisti riconosciamo il ruolo della sessualità e delle sessualità genitoriale nella formazione del mondo fantasmatico e dei processi inconsci del soggetto. Come scriveva Green (1995): “Se ciascuno di noi respira ed è vivo, ciò è conseguenza, felice o infelice che sia, di una scena primaria […] di una relazione sessuale tra due genitori di sesso differente, e questo che ci piaccia o no”. In questi molti, ma non moltissimi anni le cose sembrano davvero cambiate rispetto all’affermazione di Green.  Il desiderio di genitorialità, che queste situazioni testimoniano e che non possiamo dubitare sia forte e autentico, fa riferimento a un altra scena nella quale sessualità e concepimento sono scissi l’uno dall’altra.

Per il nostro specifico punto di vista si tratta di un cambiamento di non poco conto, anche se certamente la buona crescita di un bambino si affida alla capacità genitoriale della coppia  e prescinde dall’identità sessuale del genitore. Tuttavia, sappiamo che nonostante i suoi buoni genitori è la ricerca delle proprie origini che spingerà Edipo nel suo viaggio a  Delfi. Le tecniche di procreazione assistita, e qui pensiamo specificamente alla gravidanza surrogata, mettono in discussione questo punto, quello dell’origine e, con esso, la rappresentazione dei rapporti di parentela  e generazionali.  Forse siamo solo all’inizio di questo percorso. Possiamo però interrogarci sulle ripercussioni, a livello fantasmatico e relazionale,  che queste esperienze hanno sui soggetti coinvolti. Soprattutto sul bambino. E sui possibili i cambiamenti che potranno prodursi nel modo di intendere le relazioni sessuali e la generatività. La trasmissione di significati e codici condivisi che ha accompagnato l’umanità per millenni, garantendone anche il senso di continuità, sembra essersi rotta nel suo punto più sensibile: sulle forme e i modi di dare la vita.

I gradienti di libertà si sono ampiamente accresciuti e dilatati e possiamo scegliere come e quando far nascere un figlio. Tuttavia, a questa libertà operativa e decisionale corrisponde un’altra faccia della medaglia nella quale prevalgono le emozioni, le vicende affettive e le fantasie consce e inconsce. E tutto ciò è molto meno libero. I progressi della medicina, gli avanzamenti tecnologici e scientifici, le normative giuridiche sempre più avanzate e rispettose delle scelte individuali e della dignità della persona, si confrontano con le conseguenze psicologiche di tutto ciò, che sono assai più complesse. La libertà “da”  non coincide con la libertà “di” (Parson, 2016). All’espansione delle soluzioni e alla moltiplicazione delle possibilità di scelta è auspicabile che corrisponda un’altrettanto grande consapevolezza e responsabilità rispetto a quelli che sono i limiti dell’essere umano e fino a dove ognuno di noi si può spingere.

PAOLA MARION è psicoanalista, Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana con funzioni di training