Dossier

Verso l’ignoto senza smarrirsi

21/03/16

Durante la mia attività di psicoanalista esperta nell’analisi di bambini e  adolescenti, ho avuto l’occasione  di conoscere numerose situazioni di difficoltà più o meno grave nella relazione genitori figli. Ho lavorato in un reparto di Ostetricia,  in Servizi Pubblici nell’ambito dell’Età evolutiva e privatamente nel mio studio.  A partire dalla mia esperienza vorrei suggerire qualche riflessione. La mia funzione in tale ambito sembra configurarsi in una mediazione tra le aspirazioni ideali “essere genitori perfetti di un bambino perfetto” e la realtà  di generare e crescere dei figli: come si dice in ambito psicoanalitico, la condizione per essere genitori di un figlio reale è elaborare l’impossibilità di avere un figlio ideale. In particolare vorrei qui illustrare come l’incapacità a tollerare una certa quantità di ignoto per i genitori, per lo psicoanalista come per lo scienziato,  può essere all’origine di gravissimi danni all’individuo e all’umanità stessa. Chi promette sicuro successo e felicità certa, può essere annoverato tra i tanti pifferai magici che ci seducono fino a farci mettere a rischio la nostra stessa vita

(Gaburri E .2006) Penso  a una mia giovane paziente che non riuscendo a tradurre in altro modo il suo desiderio di cambiamento e il suo non sentirsi all’altezza  si è sottoposta a diversi interventi di chirurgia plastica che sempre meno la rendevano accettabile ai suoi occhi: la mia funzione in tal caso è stata prendere contatto con sentimenti di inadeguatezza e non esistenza che non potevano certo trovare risposta nel cambiamento di naso Si potrebbe anche esprimere qualche commento sul chirurgo che ha sottoposto un’adolescente a ripetuti e dannosi interventi di chirurgia plastica, ma non è questa la sede.

Il mio obiettivo in questo breve scritto non sarà confrontare le difficoltà dei figli nati naturalmente con quelle dei figli della fecondazione eterologa  o delle maternità surrogate: non mi pare infatti un’operazione che può permetterci di dire granchè, a causa delle troppe variabili in campo. Posso invece affermare con convinzione che la capacità genitoriale non è scontata, non si compra né può essere garantita da nessuna scienza o tecnologia: essa richiede di tollerare il limite e il mistero a cui siamo sottoposti nel far nascere e crescere un altro essere umano,  l’imprevedibile tempo necessario ad ogni storia comunque unica ed irripetibile.

Quando una coppia inizia a desidera un figlio sa che non può determinare precisamente il momento in cui ciò accadrà : la prima mediazione tra desiderio e limite, riguarda proprio il tempo del concepimento. A volte possono fallire anche tutti i tentativi di fecondazione assistita e il bambino “arriva” subito dopo l’adozione, quando cioè la coppia sembra essere divenuta pronta ad accogliere un figlio, prova ineludibile della stretta connessione tra somatico e psichico.

Chiaramente mi riferisco qui a tutte quelle situazioni dove la diagnosi di infertilità è incerta, dove è possibile raggiungere naturalmente il desiderato concepimento.

Inutile negare che  i vissuti  trangenerazionali inconsci della coppia a proposito della maternità possono interferire con il concepimento. Certamente altre sono le condizioni per le coppie che hanno seri limiti fisiologici al concepire,  bisognerebbe soffermarsi sul dolore, l’alienazione, l’umiliazione che la coppia vive nel seguire percorsi di procreazione assistita e  qui la scienza potrebbe fare ancora molti passi, ma soprattutto sarebbe necessaria una vera assistenza psicologica alla coppia e in particolare alla donna. Inoltre la gravidanza ottenuta con un percorso medicalmente assistito è “preziosa”  cioè  non deve essere persa… Questo significa molto spesso un percorso ad ostacoli dove la rappresentazione interna della gravidanza che avviene grazie ai sogni  della madre e che prepara l’accoglimento del bambino è   interferita da continui controlli vissuti dalla donna come assolutamente intrusivi e disturbanti ( Mori G 2008). Solitamente queste gravidanze  si concludono  con un parto Cesareo,  erroneamente considerato( se non necessario) più sicuro rispetto al parto naturale.

La gravidanza medicalmente assistita sembra espropriare la donna della sua capacità generativa ottenuta solo grazie al controllo della medicina. Il concepimento, la gravidanza, il parto sono spesso considerati esclusivamente da un punto di vista tecnico e scientifico ed il mondo  affettivo ed emozionale un surplus, quasi un sentimentalismo.

BREVI STORIE

Mara ha  38 anni quando con il compagno Luca decidono di avere un figlio. Mara ha una storia familiare molto complessa e traumatica che non le ha permesso di potersi pensare in grado di generare figli. Luca una serie di interruzioni volontarie di gravidanza nelle relazioni con le compagne precedenti a Mara. Dopo sei mesi di tentativi, la coppia non riesce a concepire e così su consiglio del ginecologo, effettua una serie di esami, per valutare una eventuale infertilità. Nonostante nessuna apparente condizione di sterilità conclamata inizia così un calvario per la coppia, che si sottopone per due anni ad estenuanti  e accaniti tentativi di fecondazione assistita. Ogni fallimento sembra far sprofondare sempre più Mara nell’annichilimento, quasi come se l’impossibilità di una gravidanza rigorosamente programmata e ad ogni costo segnalasse una condizione di patologia..  Quando ormai la coppia ha perduto le speranze e inizia a farsi strada la possibilità di elaborare questo grave dolore, Mara resta finalmente incinta ma la gioia per l’evento  è ben presto adombrata da una serie di imprevisti( minaccia di aborto) e di scelte( amniocentesi si o no): nuovi ostacoli insormontabili, la coppia vuole certezze assolute dai medici.  

Vi è in Mara un bambina insicura e infelice che la porta ad affidarsi  ai medici come a genitori infallibili e a non mettersi in contatto con il suo vero sentire. Alla gravidanza segue parto cesareo programmato e allattamento artificiale: Mara non può controllare nell’allattamento al seno quanto mangia il piccolo, ha paura di non avere latte, preferisce affidarsi al biberon.

Inutile dire quanto Mara si sia sentita inadatta al suo compito di madre, a lungo abbiamo dovuto lavorare per permettere che nascesse quel germoglio di capacità empatica, necessario ad accudire il proprio bèbè. 

Una coppia che chiamerò Rossi, con un percorso di fecondazione assistita, viene da a me preoccupata per i capricci del figlio Franco, che ha sei anni. Già durante la consultazione emerge che il piccolo ha una vita piena di impegni ed è difficile fissare un appuntamento. Inoltre a parere dei genitori le tappe dello sviluppo sono state raggiunte senza nessuna difficoltà. A sei mesi il piccolo è stato inserito al Nido “senza alcun problema.”  Nelle sedute di gioco i genitori sembrano rivolgersi ad un bambino molto più grande, e sembrano incapaci di stare con Franco. Interferiscono con l’intenzionalità del gioco del bambino: per esempio se Franco prende dalla cesta gli animali e li mette in fila, subito il padre inizia a catalogare i buoni e i cattivi inserendo nel gioco significati altri. Franco allora abbandona il gioco e resta come inebetito. Mamma e papà parlano con me del bambino come se lui non fosse presente nella stanza, non riescono a rivolgersi anche a Franco. Mi chiedo quale spazio, quale tempo per il bambino si sta costruendo in questa coppia così programmata e perfetta. Mi sembra qui opportuno fare riferimento al concetto di spoilt children( Borgono F 1994): un bambino apparentemente capricciosi ma in realtà sofferente per la continua intrusioni di identificazioni patologiche da parte dei genitori. Dina Vallino(1998, 2010) sottolineava l’importanza dell’esperienza di sentirsi esistere sin da neonati e di come tale esperienza sia connessa alla capacità  della madre e dell’ambiente non solo di accudire i bisogni fisiologici del bambino ma anche quelli mentali e affettivi, rispettando la sua intenzionalità.

Questo però richiede che una madre sappia darsi il tempo di capire il bambino, tollerando incomprensioni ed incertezze senza saturare precocemente le richieste. Ancora una volta la capacità genitoriale è connessa al senso del limite e alla rinuncia della onnipotenza.

Marta è una adolescente che presenta una grave anoressia ; figlia di due genitori di successo. non può differenziarsi da una madre invadente che si pone come modello di perfezione, alla quale Marta  riesce  a contrapporre solo l’ onnipotente tentativo di controllare il suo corpo.

Sappiamo come anche l’adolescenza metta a dura prova la capacità dei genitori di aprirsi a continue trasformazioni e a rinunciare definitivamente al sogno di un figlio come prolungamento narcisistico.  Sarà l’ atteggiamento dell’analista volto a rinunciare a qualunque onnipotenza di cura la chiave di volta della situazione.

A conclusione di questa mia breve riflessione, mi sembra poter dire con certezza( fino a prova contraria) che non è possibile scindere nell’uomo il corpo dalla mente, psiche e soma sono intimamente congiunti. A maggior ragione la gravidanza e il parto sono eventi strettamente connessi all’emotività e all’affettività. Mi sembra che il requisito indispensabile a genitori “sufficientemente buoni” risieda nella loro capacità di rinunciare ad un figlio ideale per giubilare del figlio reale, rispettandone l’intenzionalità.

Vorrei finire con le parole della seguente poesia :

                                                 Lasciate tranquilli

                                                 quelli che nascono.

                                                 Lasciate spazio

                                                  perché possano vivere.

                                                  Non preparate già

                                                  tutto pensato.

                                                  Non leggete a tutti

                                                  gli stessi libri.

                                                  Lasciate che siano loro

                                                  a scoprire l’alba,

                                                  a dare un nome ai loro baci.

                                                   -PABLO NERUDA

GIOVANNA MAGGIONI è psicoanalista, Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana e Esperto in Bambini e Adolescenti.